La nostalgia. Struggi e distruggi – di Gabriella Landini

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La nostalgia è un argomento letterario ricorrente nella nostra cultura con tante sfumature teoriche. Viene descritta, narrata, cantata come un sentire con differenti declinazioni emozionali e una multiforme varietà di temi. Storicamente il riferimento d’obbligo è all’Odissea, al “desiderio del ritorno” di Ulisse alla patria, a Itaca, alla casa, alla sposa Penelope.

Etimologicamente il temine nostalgia è composto da nóstos, ritorno, álgos, dolore. Il dolore rispetto alla casa, alla patria, al ritorno. Una spinta verso luoghi e tempi non attuali di un’esperienza di appartenenza da cui ci si è allontanati, e che nella lontananza assumono una notazione vivificante di mancanza a se stessa. Il termine è peraltro, un’invenzione seicentesca (1688), dunque relativamente recente, ad opera di Johannes Hoferus nativo della città di Basilea, anche se la descrizione del desiderio del ritorno compare molto precedentemente nella letteratura.

Alla nostalgia sono state attribuite e si attribuiscono una innumerevole gamma di sensazioni, alterazioni di umore e di condizioni della percezione. Dal rimpianto per il passato, al desiderio di rivivere, rivedere, riascoltare, luoghi, stati, motivi, circostanze, persone che hanno procurato una forte impressione di piacere, gioia, ma anche tensione, pericolo, la nostalgia sembra un sentimento assai diffuso. Ma può apparire anche come desiderio di ciò che non è mai stato e che sarebbe potuto accadere, e in questa accezione compare anche la nostalgia del futuro, nella fattispecie di futuro anteriore.

La nostalgia in tutte le sue tonalità è pervasa da uno slittamento spazio-temporale nella torsione storicistica di potere considerare la memoria come una metamemoria scandita dal ricordo e dal possibile riavvicinamento alle condizioni originali di cui il ricordo è il racconto postumo.  Ma anche nel ritorno, il ritrovamento della condizione originaria per la quale si è provata nostalgia si rivelerebbe frutto di una idealizzazione illusoria, esito di un discorso organizzante a priori lo svolgersi degli eventi. Il tentativo di ritornare alla circostanza, ai luoghi, al vissuto o all’evento originale, per ironia della sorte quando vi ci si cimenti, risulta un rafforzativo della nostalgia, la memoria è viva, attuale, in movimento, il ricordo è lettera inerte. Reliquia.

La rievocazione disinteressata a motivi nostalgici si nutre di esche che fanno da pretesto per una narrazione nuova, come lo è per Proust, nella sua Recherche. La sua rievocazione mnemomonumentale (L’oeuvre cathédrale) mostra in sé tutto l’artificio nella pretesa di restituire a posteriori l’originario momento del passato rimosso. Un monumento interdetto. La grandiosa narrazione ha in sé il pregio di non volere stabilire una verità, ma di dispiegarsi nel gioco narrativo della superfluità favolistica, un lusso fantastico e inservibile che si chiama arte.

L’ideologia della nostalgia è l’idea di un ritorno all’origine propria del discorso grammaticalmente  organizzato eretto a sistema. Un intero apparato filosofico – scientifico si dipana intorno alla teorizzazione del risalire al punto di origine, quale causa prima e di doverne provare per dimostrazione l’esistenza quale verità inderogabile, dalla quale fare dipendere secondo il principio di causa effetto tutto ciò che la memoria scrive e nella memoria si inscrive.

L’intero impianto del discorso razionale risulta nostalgico, avendo la pretesa di decretare a ritroso, secondo il principio causale, le ragioni e la verità dell’inizio, inserendo nella linearità progressiva la circolarità della riproduzione, del rinnovamento dell’accadere riconducendolo al già accaduto.

La memoria si scrive e scrive l’attuale, un residuo, una traccia atemporale che non passa, non trascorre, non si perde, ed è irraggiungibile alla definizione del vissuto. Il suo testo è costituito dalla dimenticanza, dall’oblio, ma sempre hic et nunc nel suo cogliersi prosegue nell’esporsi al contingente, all’ignoto verso cui tende. L’Eden perduto, dal quale saremmo in esilio, risulta una metafora nostalgica rispetto a una idea fondativa di armonia prestabilita ab origine, primigenia, a cui l’Apocalisse fa da conferma, per via di quella rivelazione che dischiuderà e convaliderà la verità prima e ultima che vi era insita. L’origine è la meta è un motivo ricorrente, ovvero il principio di finitezza e di finalismo che si trasformano in riduzionismo a unità androgenetica per realizzare la palingenesi.

L’ermeneutica dunque fa intrusione nella memoria riconducendola entro le maglie di una categorizzazione sistemica. Le variazioni in questo caso eludono l’apertura. Nessuna apertura, nessun ignoto, tolto l’Altro.

Il punto di finitezza e di finalizzazione (principio di morte) sono il supporto del ricordo in direzione della perfettibilità del passato e della sua idealizzazione nell’ipostatica asserzione della finibilità del tempo. Nient’altro di inusuale da vivere rispetto al passato. L’imperio della mnemomacchina e della mnemotecnica rigettano ogni forma di debordamento e disturbo della memoria. Nessun racconto inedito, Altro escluso. Quando invece, ammettere Altro, condizione dello sconosciuto imponderabile, al quale la memoria partecipa con la sua traccia, è prerogativa del proseguimento di vita teso all’avvenire. Avvenire ancora da inventare, narrare e scrivere, ma che non può esimersi dalla memoria, dato che la memoria è Parola e della noi-parola è il suo viaggio. Parola –  respiro – spirito che permane nel suo incessante pronunciarsi, incancellabile, senza tempo e che il tempo lo trova all’occorrenza. Il racconto dell’avvenire è l’avvenire di un racconto. Siamo in viaggio, la vita è un viaggio, e qualsiasi evento o luogo diviene insituabile secondo i criteri di vicinanza o lontananza per via dell’incessante itinerare. La domesticità è una presunta conoscenza, un presunto appaesamento. La nostalgia vorrebbe stabilire un possibile riavvicinamento nella lontananza all’oggetto desiderato, ma al contempo è indice di quanto l’oggetto sia impadroneggiabile e inconoscibile, fuori dalla nostra portata, e non si offre alla presa. Per fare un esempio estremo: non  di rado i soldati di stanza in luoghi lontani dal proprio paese hanno nostalgia di casa, e poi rientrati in patria hanno nostalgia dei teatri di guerra. Ciascuna cosa scrive il viaggio, e nessuna cosa può scrivere la fine del viaggio.

Il discorso razionale nel quale ci troviamo, si dipana oscillando fra ricordo e cancellazione della memoria. Un pathos in entrambi i casi di cui la scienza si occupa come patologia. Stato d’animo melanconico, provocato dal desiderio di una persona lontana, o di cosa non posseduta, dal rimpianto di condizioni ormai passate, dall’aspirazione a uno stato diverso dall’attuale che si configura comunque lontano.

La nostalgia enfatizza l’accaduto nel tempo osservato da un punto ritenuto finito, le esperienze e i luoghi si cristallizzano nel piacere e nella perdita, un metalutto la cui drammaturgia teatratica dell’ideale del ricordo sfocia nella malinconia e nella mania. In tal caso il dizionario ci informa trattarsi di struggimento. Un desiderio del ritorno che produce uno stato d’animo misto di ansia, pena e sofferenza che consuma e non dà tregua. L’atto dello struggersi, è lo sciogliersi, lo strutto.

Una forma morbosa di nostalgia, “per cui l’individuo prova un intenso bisogno di ritornare nei luoghi a lui cari, divenendo incapace di adattamento in un ambiente non abituale”. Praticamente uno strazio che la scienza medica classifica come nostomania (P. Premioli). Grottescamente ci sarebbero patologie compensative fra loro, fra eccesso di ricordo e perdita di consequenzialità cronologica di ricordi.

La nostalgia è un’esaltazione del ricordo ed è effettivamente uno – struggi – distruggi – dato che lo struggimento nostalgico fa del ricordo un mausoleo della fissità a scapito della memoria.  La memoria è movimento, variazione, cambiamento, itineranza, e quindi dove il ricordo fallisce la memoria riesce.

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