Cronaca di un incontro – di Stefano Vaiarelli

All rights reserved © Stefano Vaiarelli

©André Góes

©André Góes

Copacabana, Bolivia, febbraio/ marzo 2016

Girovago per viuzze senza tempo, quando vengo fermato da un capellone biondo che mi invita a una festa con musica dal vivo quella stessa sera. Gli do corda, il suo modo di fare mi piace, è un venditore che non sa vendere ma sa giocare con le parole, è teatrale. Mi dice che si è auto-esiliato in Bolivia per scappare dalle ingiustizie del suo Brasile. Tra una chiacchiera e l’altra mi dice che scrive, che è poeta, che sta per pubblicare il suo primo libro e che ha fatto un film muto nel deserto di sale più grande del mondo. Quando parla è un fiume in piena, inarrestabile, ma navigabile grazie al ritmo ipnotico del suo portuñol che danza su melodie brasiliane. Siccome all’inizio stentavo a credergli, gli chiedo di farmi sentire qualche sua poesia. Tira fuori un libretto, sfoglia qualche pagina e mi dice, “questo è il mio intervento a una conferenza internazionale di fisica” (forse è uno scenario immaginario, ma mi piace pensare che sia la verità):

Esa molécula líquida, atómica, circular, pulsante,

que está dentro da perna do louva-a-deus

està direitamente ligada ao pulsar do coraçao de uma estrela;

nada está avulso e isso rebota adentro da incandeciencia

da lava de um vulcao.

 

Trad.

(Questa molecola liquida, atomica, circolare, pulsante,

che vive dentro la zampa della mantide religiosa

è direttamente collegata al palpitare del cuore di una stella;

nulla è avulso e questo si riflette nell’incandescenza

della lava di un vulcano.)

Ne rimango sedotto, e mi offro come traduttore della sua opera. Gli dico che se vuole, posso essere la sua voce italiana.

Lo vedo entusiasta, mi dice di accompagnarlo al mercato e mi invita a casa sua a bere del vino. Sulla strada parla con tutti, turisti e locali, e questi ultimi li saluta nella loro lingua. Conosce un po’ di aymara e quechua, e altri idiomi nativi d’America di cui non ricordo il nome.

Vive in una casa molto umile, nella parte più alta della città. Arredamento essenziale in due ambienti disadorni: uno adibito a cucina-salotto e l’altro a stanza da letto. Ci sediamo a un tavolino e mentre beviamo il vino parliamo della crudeltà del potere e delle assurdità del mondo moderno, ma anche di filosofia, poesia e letteratura; vuole conoscere alcuni autori italiani sconosciuti e io prendo nota dei suoi scrittori brasiliani preferiti: Ariano Suassuna, Augusto Dos Anjos, Lúcio Cardoso, João Guimarães Rosa, Euclides da Cunha.

È ora di tornare giù in paese, vuole presentarmi i musicisti che suoneranno stasera al bar. Sulla via del ritorno neanche la pace del tramonto andino riesce a placarlo: ha sempre una parola per tutti, locali e turisti. Prima di entrare nel bar, incrociamo un’avvenente turista bionda. André si toglie il capello e con tono teatrale le dice, “Yo nunca te vi, pero siempre te amé” (Io non ti ho mai vista, però ti ho sempre amata).

.
.
.
.