Crepuscolo – Gabriella Landini

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Crepuscolo

È una pozza d’acqua nel cuore dell’Africa nera. Terra arsa in aspirazione di umido. È il crepuscolo, annuncia la notte, profumata ebbra su sfondi ancora luminosi. Abbeverarsi. Zebre, antilopi, giraffe, elefanti, animali volanti senza nome si accostano quieti e silenti nell’aria immota. Una pace che è sete, mentre l’orizzonte continua a squarciarsi, senza tempo. Stare nell’immenso, sentirlo nutrito di polvere e carne che sa di azzurro, nell’illimitato dell’aria. Un brivido cattura lo sguardo poi lo inabissa. Non più fondo, sfondo, oltre ogni vagito di nascita e morte. Mitico. Quando? Dove? Verde ondulato di giallo; percezione d’ignoti nell’incanto che ci coglie alla sprovvista. Noi pensanti a non più pensare. Dimentichi e immersi nello sfioramento attento. Eterno che in noi parla vibrando sottili fonie di sabbia e di vento.
Lo specchio d’acqua è una smagliatura colata da una gronda di cielo, una gemma liquida. Non più tu, non più io, non più eteri arcani, alla pozza il soffio del respiro è un palpito immediato, equilibrio imperscrutabile fino alla vertigine del sensibile. Avvertire l’attimo del mutamento che è voce di tutti i corpi senza pronuncia di versi o muoversi di arbusti. Nulla si ode, eppure tutto si sente, nulla si vede, eppure tutto si scorge. Il sorso è un ritmo che si allerta istantaneo e corale. Si ferma. Sta in pausa. Alla pozza è un passo di danza che cambia, leggero, enigmatico, intanto qualcosa s’appare nella vastità, le teste inarcate attendono, fisse, altere, di pietra. Sospeso il tempo in attesa rimane. A lungo o per pochi secondi invisibili i passi avvertiti, di ferita cruenta o incruenta che sia, afferrano l’esile nulla e l’incedere non concede lo scatto, solo l’attesa di occhi senza sussulto. Un vortice lento come stoffa su gambe invecchiate, si scosta e apre un varco nel labbro di pozza al felino che avanza. Di sangue e un vago sapore di saliva niente resta. Alla pozza c’è una pace che è sete. Il pachiderma turbina vampe e correnti, non può lacerarlo il fulmineo, neppure il tuffo del muscolo. Alla pozza criniere, proboscidi e becchi adunchi non afferrano simboli. Vano cercare il vessillo della vittoria. L’armonico è uno sfumato senza dominio. Una sonnolenza grava sulle palpebre e s’affonda nell’atmosfera ardente senz’alito vicino all’incavo lago quando pianeggia il pulsare sussurrato della quiete.
Un rivolo la scrittura dell’impronta, una folata la fa svanire.