La gentilezza – di Gabriella Landini

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La gentilezza dei modi oggi sembra appartenere a un manierismo demodè. Incontrare una persona autenticamente garbata nello stile della relazione è una rarità. Si è ritenuto, erroneamente che la gentilezza fosse un comportamento assumibile e insegnabile, oppure, diversamente un atteggiamento che stesse a significare remissività, arrendevolezza di fronte a situazioni complesse. Uno stile mite di relazionarsi è stato considerato opposto allo stile aggressivo, ritenendo quest’ultimo una rappresentazione più confacente a chi volesse ottenere maggiori risultati in ogni ambito della vita. L’aggressività e il conflitto come modus vivendi  sembra sempre offrire vantaggi vittoriosi in ogni campo, tranne scoprire che purtroppo la brutalità da millenni non è mai cessata, mentre la cortesia, l’eleganza, la solidarietà, l’aggraziatezza, solo di tanto in tanto fanno capolino a interrompere il continuum della violenza. Differentemente dalla vulgata comune, la gentilezza, il garbo, la raffinatezza non sono norme di un galateo imposto o conformista, anche se l’educazione ha la sua rilevanza nel promuovere finezza di pensiero, sensibilità per quanto avviene intorno, responsabilità, attenzione, cura, intelligenza verso l’altro.

La gentilezza autentica non appartiene alla sfera dei comportamenti finalizzabili, esula dalla misurazione e dalla comparazione nell’atto di scambio, in quanto avviene in un dispendio immotivabile, è regalo nella parola, generosità nella comunicazione e non ha ricompensa. È uno stile particolare, inimitabile, di porgersi di ogni individuo nei confronti di ciò che incontra. Decidere se è meglio essere gentili o rudi in una certa circostanza significa negare la gentilezza nella sua essenza. La gentilezza non ottiene niente, è uno stato dello spirito individuale, una condizione dell’esistere, non uno strumento usabile per ottenere benefici o prebende di alcun tipo.

La gentilezza di per se stessa non riguarda un alcunché di imposto, bensì si afferma quale disposizione d’animo volta a prestare cura e attenzione agli atti che ciascuno compie nei confronti di tutto ciò che lo circonda. Quindi, in prima istanza è una disposizione di spirito dell’individuo e conseguentemente a questo si afferma quale modo della relazione. Non è un’impersonazione identitaria: la persona gentile, la persona sgarbata ecc.  Gentile (gentilità, gentilizia), è una parola che ha una storia etimologica che ci conduce al latino gentílem, cioè a ciò che è proprio di colui o colei che appartiene alla stessa gente o famiglia, tendenzialmente di nobile stirpe, ma lo stesso temine era impiegato pure dai primi cristiani per indicare popoli estranei al loro culto. Il termine gentilezza, dunque, si rivolge indifferentemente a quanto ci è prossimo e vicino, quanto a ciò che ci è straniero e lontano.

Occorre notevole virtù intellettuale per giungere all’intendimento della forza della gentilezza. Indispensabile la lealtà, l’ascolto e l’onestà di avere lasciato alle spalle il pregiudizio, l’arroganza, la padronanza delle situazioni, la loro obiettivazione strumentale. Non esiste una gentilezza uguale per tutti: una canone gentilizio praticabile, eseguibile, salvifico, e persino curativo, come spesso viene presentato, per fare fronte a una frammentazione delle relazioni sempre più conformi all’ostilità, in quelle che vengono denominate società civili .

La gentilezza come la grazia stanno nell’infinito e non se ne possono dare rappresentazioni. Avviene quando avviene, imprevedibile ci espone a udire l’inudibile, a vedere l’invisibile, a sentire l’icommensurabile in cui stiamo vivendo.

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