Gambero Iolando contro il mare – di Mariangela Venezia

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«Ecco qual è il problema del camminare all’indietro», sospirò il gambero Iolando seduto sul tetto della casa del paguro Rirì, su un lembo scintillante della spiaggia delle cento arselle.
«Se non misuri bene i passi, se non segui un’andatura regolare, se ti distrai, ti perdi o ti sbagli, c’è il rischio che la coda sfiori l’acqua, è pericoloso.»
«Ma Iolando, davvero per tutta la vita non ti sei mosso da questo lembo di spiaggia? Davvero non ti sei mai spinto fino al mare? Non sai com’è, Iolando, il mare sulle zampe, sulla punta delle antenne, sotto la crosta del guscio, con i granelli di sale che ti fanno il solletico e l’onda che fa l’eco del vento? Certe volte esco di casa e mi siedo di fronte alla mia conchiglia, proprio in riva al mare, solo per ascoltarla suonare. È il gioco del mare, Iolando, che si fa piccolo piccolo come una tellina e poi si fa infinito, come quella linea che vedi laggiù. Se entrassi in acqua e nuotassi ti accorgeresti che quella linea si allontana man mano che ti avvicini, che il mondo non finisce all’orizzonte, cambia semplicemente direzione.»

«Tu sei pazzo Rirì, sgranò gli occhi Iolando, io non arriverò mai fino al mare, sono sicuro che se l’acqua mi toccasse morirei all’istante. E se non morissi per l’acqua morirei mangiato da un pesce o impigliato in un corallo o soffocato da una spugna. Ho l’intera spiaggia delle cento arselle tutta per me, disteso sotto un milione di granelli guardo le stelle, di notte, costruisco la mia casa ogni giorno in un punto diverso, guarda oggi abito sotto quella foglia laggiù. Bevo dai gusci di cocco e delle conchiglie, incontro granchi, lombrichi, tartarughe e gabbiani. Faccio un passo avanti e uno indietro, a volte mi confondo e ne faccio due avanti, ma poi mi correggo e ne faccio tre indietro. Sempre con gli occhi rivolti alla spiaggia e la coda al mare. Non mi sono mai voltato dall’altra parte, manco una volta. Il mio mondo è giallo di sabbia e verde di palme, tutto quell’azzurro, liscio e infinito, non fa per me. Non posso, sono un gambero minuscolo, ne morirei.

Piangeva il mare, senza il gambero Iolando, a volte si arrabbiava e si gonfiava in onde elettriche e giganti, a volte restava immobile, aspettando, nella speranza che Iolando si voltasse e gli andasse incontro. Sapeva che sarebbe bastata un’onda più alta della altre per trascinarlo in acqua, sapeva che bastava chiedere a un pellicano di raccoglierlo nel becco, ma non era cosi che il mare voleva Iolando, non era con l’inganno, o con la forza. Ma come fare perché Iolando dimenticasse il limite che si era dato e si mettesse semplicemente in cammino? Il mare rifletteva, brontolando sbuffi di spuma, consultandosi coi delfini e con le alghe e alla fine capì.

©LIsa Rampilli Mari Increspata
©LIsa Rampilli Mari Increspata

Chiamò a raccolta i sette venti del mare: tramontana, grecale, levante, scirocco, ostro, libeccio, ponente, maestrale, e alla fine scelse il libeccio, leggero e danzereccio, con una punta di ostro a mitigarlo e di scirocco a riscaldarlo.
I venti iniziarono a soffiare, prima piano, sollevando qualche granello sulla spiaggia delle cento arselle, poi con più forza, facendo saltellare le conchiglie. Anche Rirì il paguro si sollevò e iniziò a volteggiare in aria, ridendo a crepapelle. «Lascia andare quel rametto!»urlò Rirì a Iolando, «smettila di aggrapparti e lasciati sollevare dalla brezza, è divertente, è come una giostra! Non ti preoccupare Iolando, il vento è leggero, ci fa solo volteggiare!»
Iolando guardava Rirì che si rotolava nell’aria facendo mille acrobazie insieme alla sua conchiglia e moriva dalla voglia di unirsi a lui, in fondo era solo un venticello, che poteva succedere di brutto, ed erano lontanissimi dall’acqua, in un punto della spiaggia molto riparato. E Iolando lasciò andare il rametto e si trovò a testa in giù in aria, faceva capriole, salti e piroette giocando ad acchiappare Rirì. A un certo punto facendo una capriola all’indietro Iolando si voltò, con le antenne verso il mare, per la prima volta in vita sua. Sgranò gli occhi dalla meraviglia, cercando di restare fermo, ma il vento lo faceva girare e girare e ogni volta che era a testa in giù vedeva il mare, con la superficie leggermente increspata dai venticelli. «Tocca a te, maestrale», urlò il mare, «soffia più forte che puoi, sollevami in alto, fino al cielo.» Il maestrale prese la rincorsa e soffiò più forte che poté sull’acqua del mare, che si alzava sempre di più quasi a toccare le nuvole, fino a curvare la linea dell’orizzonte che diventò una gigantesca porta.

Iolando, sospeso per aria vide, incantato, attraverso la porta il mondo sommerso che si stendeva a perdita d’occhio, molto oltre     l’orizzonte. Vide colori vivissimi e animali sconosciuti, vide strade di coralli e caverne ricoperte di anemoni ondeggianti. Vide balene addormentate e cuccioli di squalo rincorrersi, velieri incastonati nelle rocce e tappeti di posidonie ballerine.

Dentro la linea, diventata varco, risplendeva, invitante, la vita del mare.