All rights reserved©Lupo Borgonovo
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Ankh Michauli
Incontriamoci lì, lontano, per giocare a trovarci, prendiamo un autobus, un aereo, un treno e poi camminiamo lungo una strada dissestata.
Asciughiamoci il sudore dalla fronte. Facciamolo, per questa architettura rossa che arriva dalla notte dei tempi e arriva a noi come sospinta da due mani che si protendono dal 1500. Questa architettura che ci avvicina a ieri mentre, trattenendo il fiato, giochiamo a nasconderci. Complichiamo il gioco, una patina leggera sui nostri corpi nudi, spennelliamoci di cipria rossa che si sa che i pigmenti e le spezie da queste parti non mancano, facciamo gli indiani, diamoci alla fuga.
Così dello stesso colore dei mattoni sarà più difficile riconoscersi. Abitiamo il padiglione che visto dall’alto sembra la spina dorsale di un pesce aperto per il lungo.
Lui non aveva più nulla, nemmeno il nome. Un briciolo di ironia come cicuta letale evaporava quando affermava che lui non avesse nome, ma che fossero gli altri a chiamarlo. Ai miei occhi in quei momenti si faceva oggetto, una bottiglia, un calamaio, un mattone che sono chiamati senza saperlo.