Family Circus – di Gabriella Landini

All rights reserved ©Gabriella Landini
Copertina di Lisa Rampilli

                                         LA FAMIGLIA

Da dove comincia una storia, una favola, una saga? Comincia che nascevo, da qualche parte, in qualche tempo, un Natale anche per me, in una casa, in una città, in campagna, su cime montuose, al mare, nel bosco, sul greto di un fiume, forse in una grotta dipinta con incisioni rupestri, ma anche in un deserto fra le dune, sono le prime immagini che ho visto. In una grotta? Sì, in una grotta potrebbe andare bene, dopo c’è stata una casa, poi è diventata una reggia e immediatamente è iniziato anche il viaggio. Asino, cammello, cavallo, selle, carretti, pastorelli, Re Magi e stelle comete. La nascita, ed ecco che prontamente ho iniziato a itinerare, ci siamo messi in cammino, eravamo in molti, ma quanti fossimo rimane un dato impreciso. C’era forse una famiglia di origine, il punto esatto, un luogo, un tempo, in cui definire che era proprio l’origine-origine del racconto? Quel racconto così certo che non avrebbe altro andamento o spiegazione se non sempre ritornare a confermare vita natural durante che le cause-effetti del destino erano già tutti scritti in un album di vaticini già predeterminati e lapidari: esatto il giorno, l’ora, e quel che accadde in quel contesto? Famiglia? Forse. Bah! Ma poi chi sarebbe stato il lettore del geneoscritto?

©Francesco Saba Sardi, disegno

©Francesco Saba Sardi, disegno

Mentre mi arrampico afferrando le tracce di memoria vado in cerca di narrati, altri testimoni c’erano quel giorno in cui nascevo, di certo, loro, avranno più cognizione di quanto avvenne. C’erano nomi. E che altro? Allora? C’era il sole, c’era la neve, era inverno, era estate, autunno, primavera, grande emozione… ma siete sicuri che sia andata davvero così? Mi è lecito dubitare del ricordo? Noi ricordiamo perfettamente la copertina colorata sulla tua culla. Ah! un ricordo di copertura. Non sapevo, proprio no, che esistessero scaldaletto tanto duraturi. Comunque, c’era un padre, c’era una madre, c’erano dei figli, delle nonne, delle zie, delle prozie, dei fratelli, delle sorelle, degli amici, dei vicini, una lingua, un dialetto, dei trisavoli, e alberi e ancora alberi nel bosco, il cielo, il continente e il pianeta, le costellazioni… Ma c’era tutto questo? Che credevi? Credevo ci fosse la mia famiglia. La tua famiglia? E dove credi si trovi la tua famiglia? Ma quel giorno c’eravate o no? C’eravamo, c’eravamo, ma dall’agitazione ci siamo distratti. Distratti? Oohh, come la fai lunga! Che importanza ha? Hai un nome e c’è una data, è quanto basta. Ma allora cosa mi avete raccontato strada facendo? Uffa… abbiamo raccontato la strada-facendo, che ti dovevamo dire? Ma, ordunque, tutte quelle vostre lagnanze? Somigli questo e a quella? Secondo voi somigliavo forse a qualcuno? Direi proprio di no, ma te lo raccontavamo a seconda delle occasioni e delle necessità. Per una batosta somigliavi alla prozia, per un complimento al bisnonno, e via dicendo… Ma se non li ho mai conosciuti! Nemmeno noi ne sapevamo niente, quel che contava era la favola, la memoria. E la memoria è sempre nuova. Quindi? Quindi non lo so. Ma quante rimostranze fai, chissà che cosa tu diresti di noi? Ho detto peste e corna. Appunto! Storie, storie, storie. Quel che conta è che si continui a raccontare vivendo.

Ma allora quando è cominciata questa storia? La mia, la nostra? Comincia adesso. Sempre e solo adesso. Mentre parli.

La storia comincia che nascevo…

Il mito della famiglia ciascuno si trova a narrarlo e ciascuno si trova in un narrato che lo precede quando nasce, e oltre il quale va vivendo. La famiglia di origine come status genealogico e un fantasma di appartenenza e di padronanza con infiniti corollari e variazioni, dove il così è stato e la sua verità sono messe in scacco dalle incessanti rielaborazioni del racconto.  Se il racconto della famiglia storica rimane immutato, il nostro destino futuro ne sarà condizionato in modo prescrittivo. Vivremo aggrappati a un fantomatico passato che farà dell’obbedienza a un’idea di predestinazione la nostra condanna, la nostra ineluttabile mancanza di apertura all’altro. Indifferentemente che questa sia creduta una buona o una cattiva sorte ci impedirà di vivere compiutamente una vita nostra e pienamente responsabile. Ci sarà sempre una colpa atavica da confermare ed espiare. La famiglia storica, quella che noi attribuiamo a  noi stessi, oppure agli altri, è un fantasma di origine che  elaborato si trasforma in  apertura,  punto di inizio pretestuale di un racconto,  sempre da farsi nuovamente. Mai definitivo nella sua scrittura.

La famiglia è dunque originaria in ogni momento, e non è esaustiva di un sapere e di un avere per ciò che riguarda la nostra esistenza, è disegno e traccia come figura di ciò che resta esposto ad altre narrazioni e non è una copertura, una protezione, non offre pretesti per chiudere gli argomenti, anzi, è occasione per sbocchi e nuovi varchi, per l’ironia, per il proseguimento della comunicazione.  Nulla può accadere di nuovo da ciò che riteniamo essere già avvenuto, dal passato. La famiglia è elemento strutturante il futuro, qualsiasi avvenimento sia accaduto non è elemento imbrigliato nel romanzo famigliare confrontato a un ideale, preso nella diaspora di un andamento benevolo o malevolo per volere degli dei o dei trisavoli. L’aneddoto, il dettaglio, sono materiale che procedono dalla  traccia, materiale mnestico per sostenere l’intoglibilità del dubbio. Solo così le cose entrano in un racconto, dissolvendo la pesantezza di ciò che riteniamo essere il vero e comprovato vissuto, determinato  dai ricordi.  Soltanto narrando, i ricordi diventano maschere in un teatro d’ombre per nuove partiture esposte in piena luce.  E il tessuto della narrazione si lascia raccontare infinite volte, inizia nel contingente prendendo spunto dalla memoria, dalla tradizione, degli antenati.

La famiglia nella nostra cultura è la condizione della genealogia con i conseguenti beni e mali rappresentati, posti dinnanzi al nostro cammino, e non di rado ne sono sbarramento a causa delle nostre convinzioni. Se il mito della famiglia, del padre, della madre muta, cambia anche il nostro destino. Quante volte capita che per spiegare o giustificare un evento o un comportamento individuale si ricorra al passato e alla famiglia per dimostrare che così era, è e sarà nell’immutabilità della linearità del vincolo di sangue. Nel racconto, la famiglia storica non sta dinanzi come un’ingombrante ombra del passato che ipoteca il futuro partendo dal presupposto che vi sia una conoscenza precostituita.  Nella famiglia nulla è predestinato, perché è ancora e sempre da fare, ancora e ancora. La famiglia stessa è il modo in cui le cose avvengono e si fanno.

Mito, mythos, significa parola, nessuno può fissare il luogo in cui si nasce, perché accade nella parola,  e nell’Annunciazione non si tratta forse della parola? La famiglia come traccia si situa nella parola.  Impossibile idealizzarla. E ciascuno si trova nella famiglia, e le famiglie sono tante e varie, impossibile canonizzarle in un modello sociale o domestico. La famiglia diversamente da quanto si crede quando è domestica perde la sua peculiarità di essere dispositivo di forza e impresa del fare, si immobilizza e diviene campo di scontri e avversità.

Padri, madri, figli, conflitti, abbandoni, riconoscimenti, quello di cui si tratta non è il vagheggiamento dei fantasmi considerati reali intorno alla famiglia quale sede deputata del riscatto da una condizione, della salvezza dai perigli, dello scongiuro nei riguardi dell’abbandono. L’abbandono indica l’impossibilità di possedere, l’impossibilità della padronanza della parola, e non certo l’essere abbandonati e l’abbandonare  che invece fa riferimento alla responsabilità.  Impossibile l’appropriazione del nome di cui l’araldica fa il verso. Il racconto della famiglia porta alla saga. La famiglia storica e la traccia da cui procede della famiglia come astrazione e nel racconto diviene traccia dell’avvenire e dispositivo dell’impresa di vita. Niente impresa che non sia narrativa. Il Vangelo di Marco recita “ Chiunque avrà lasciato, casa, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi, per il mio nome riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”

Il mito della famiglia è il mito del padre e il mito della madre, e ciascuno si trova a inventarlo nella sua multiformità narrativa. Evitare di inventare il mito della famiglia e ripiegare sul terreno del mitologico, del familiare, del domestico, del tu e dell’io,  e del lui, nella rappresentazione dell’altro, significa evitare la famiglia, evitare il contingente, l’istante e l’istanza di qualità della vita. E la famiglia è sempre da inventare, sta nel tempo, nel farsi delle storie e il suo mito produce sempre effetti pratici, cioè le cose si dispongono, avvengono e divengono, e non già dunque la famiglia come presumiamo di conoscerla, quella che apparterrebbe al crogiuolo delle rimembranze anagrafiche. La famiglia sta nell’incessante narrazione di ciò che fa legame e di ciò che fa slegame, dove  trova declinazioni  inedite e nuove pieghe. La famiglia in questa accezione non  sottostà  al primato del gruppo, della razza, del popolo,  della classe, del vincolo genealogico.  Quella che viene definita famiglia di origine non è che una traccia situata sempre alle spalle.

La famiglia storica trova la sua particolarità e la sua specificità nella famiglia che si dà nel mito e nel rito.

C’è la famiglia immaginaria e fantastica, affabulata, c’è la famiglia storica con le sue impronte mnestiche, la memoria, fonte di ricerca e di rielaborazione. Il mito della famiglia dunque non procede dalla presunta conoscenza della consanguineità della famiglia come fatto, ma procede dal racconto dal futuro, dalla novità.

La famiglia dunque è apertura, è il modo dell’apertura, dell’accoglienza, dell’ospite.

La famiglia è la traccia di un itinerario che non potrà mai esaurirsi in una totalità, né in un discorso che comporti il padrone. La famiglia, dunque, come modo della relazione, del patto, dell’alleanza, dei legami, delle partenze. Patto e alleanza sono le sue peculiarità particolari, e dunque la famiglia come tale non può obbedire all’idea della parentela come vincolo della solidarietà, dell’impresa, della riuscita, della forza, e ne sono la dimostrazione le mille forme in cui la famiglia si forma nel diritto, come diritto dell’altro.