Dicono che i capodogli non sognano più – di Mariangela Venezia

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Di mussole, taffettà, organze e broccati ingombre le coltri e i cuscini, imbevuta di vapori e nuvole e fragranze d’oltremare essa tormenta, con lo spunterba del bozzacchino, un lembo di pelle sfuggito alle gonne.

Quanto celere oltrepassa la moda le forme del corpo, oggidì il figurino di Francia cangia di mezz’ora in mezz’ora e quanto tempo ancora mi resta prima dello sgretolamento della maschera sapientemente imbastita, prima di esser costretta a giulebbarmi al primo che passa per non andare a male.

Imbizzita dall’istante, tanto terreno e ingannevolmente eterno, assetata di libertà di lacci slacciati e belletti liquefatti, solleva il viso piovoso alla specchiera inclinata.
Donna in fieno, fragrante di lune e letti e applausi, Cosetta, Nora, Santuzza, Cleopatra, per essere tutte le donne intrappolata in se stessa.
Illuminello da merli il barlume in fondo alla pupilla, l’amaranto delle gote uno zanzarìo, un balocco di fanciulli annoiati, solleva tra indice e pollice lo strato della maschera, una sbirciatina fugace nel terrore di scoprire il sepolcro.
Là, sotto la spiritosa insolenza dell’eterna giovinezza, sotto i muscoli, le ossa, le vene, accoccolata in fondo all’androne pauroso di un’identità necessaria, lucerna, intermittente, l’anima.

Chi sarei se non fossi, irrimediabilmente, me stessa?

Chi sarei, se la parola libertà si insinuasse in ogni ruga incipiente, in ogni capello imbiancato, chi sarò, quando andando, al crocevia dovrò deviare?

Si rimposticcia il cuore serale, indugiando nel sogno della reinvezione, domani, al risveglio, sarà lei occhio e non il cosmo, tutto lente su ogni suo sussulto.

Con l’anima agganciata alle rotaie di un treno, alla carlinga di un aereo, alla prua di un veliero, amoerre cangiante di onde del mare, l’obiettivo lucido di maschera appena forgiata tra genti di ogni terra e di ogni costume, prospettiva ribaltata, sarà il mio sguardo raccolto e adunco ad arpionare le vostre marachelle di piccoli uccelli svolati, i vostri desideri appena traditi da un muscolo contratto, i vostri risvegli, il lievito della vostra fantasia.

Rotolerò tra le pieghe di un vetro rotto, di una palpebra semichiusa, di denti nascosti in sorrisi, di banderuole e farfalle. Il mio viso, sezionato, scomposto in mille cristalli, sfigurato dal bisturi della vostra morbosa curiosità, diverrà occhio che inquadra, mano che scatta.

Sgombra, disadorna, arieggia di neonata linfa una nuova, disarmata umanità.