Padre Francesco Giuliani – di Ivan Dall’Ara

Tutti i diritti riservati©Padre Francesco Giuliani

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Intervista (fugace) a Padre Francesco Giuliani Missionario in Gibuti 

Gibuti

Gibuti

Tutto è iniziato nelle foreste del Congo.

Allora la mia vocazione era guidata dall’immagine del missionario che parte per salvare il prossimo, per servirlo. E ne ero profondamente convinto.

Ma l’incontro con l’Altro delimita sempre nuovi orizzonti interiori.

E davanti agli indigeni del Congo ho percepito che dietro al discorso missionario, così come io l’avevo inteso, c’era il limite del potere: il mio servizio era una maschera che nascondeva, nel profondo, l’orgoglio di gestire un’altra persona.

L’ho intuito subito quando, al cospetto dei natii, vidi le loro facce nello scoprire che io, missionario bianco, parlavo il Lingala: la loro meraviglia intrisa di soggezione era il segno per me di ricercare altrove il compimento della mia vocazione che non poteva appagarsi della maschera del missionario-eroe. Da allora, in tutti i viaggi che ho affrontato, ho sempre rifiutato di apprendere una lingua, a meno che non fosse il mio prossimo ad insegnarmela.

Ecco la scommessa profonda sulla quale ho puntato tutta la mia vita: purificare la mia vocazione.

Tutto il mio cammino interiore è stato un togliere: vivere la mia realtà più profonda, aprire le porte del cuore affinché l’altro mi invada.

Leggi gli scritti di Etty Hillesum! Ne sono completamente innamorato: troverai in chiave poetica quello che io vorrei esprimerti riguardo la mia esperienza.

Etty usa un’immagine bellissima: dice che in ognuno di noi è custodita una fonte di acqua purissima, quella fonte è Dio, e chi vi attinge assapora la gioia piena della creazione.

Il mio cammino di purificazione è stato allora togliere i sassi che quotidianamente minacciano di inaridire questa fonte meravigliosa che è in me e in ciascuno di noi.

Il mio viaggio, la mia vocazione sono stati semplicemente rendermi a me stesso, tornare alla fonte, alla mia casa.

Perché vedi, il missionario che si realizza nella “scusa” del servire è come un profugo che, per la vita, vive nella “casa degli altri”: col tempo ho imparato che non c’è nessuno da salvare.

Cerco ancora di spiegarti ricorrendo ad una preghiera meravigliosa di Etty: Dio può fare poco per noi, siamo che noi possiamo aiutare Dio a difendere sino all’ultimo la sua casa che è in noi.

Aiutare Dio a togliere i sassi che inaridiscono la fonte della vita dentro a ciascuno di noi.

La mia missione è comunicarti la gioia infinita di quell’acqua, il silenzio interiore dove si gusta la vita, in cui nulla ti distrae da quella cosa fondamentale che riceviamo quando nasciamo e che riconsegnamo quando moriamo.

E l’ho capito negli anni, nel sogno che sempre ha accompagnato i miei viaggi: dall’incontro con gli indiani del Nord America alle distese incontaminate del Canada si è sempre fatto più nitido in me il desiderio di incontrare il deserto.

E Dio mi ha fatto questo regalo meraviglioso, proprio ora che sono vecchio e probabilmente sto vivendo, nel deserto del Gibuti, il momento più bello della mia vita, dove tutto, finalmente, si è fatto più chiaro.

Quanto tu contempli un nomade Afàr, un ragazzo di vent’anni, che si leva al mattino col suo gregge di quindici pecore e null’altro ha da fare, in quell’immensità di pietra che cozza con l’azzurro del cielo, che sedersi in un anfratto d’ombra e lì attendere il tramonto; allora comprendi.

Che trovare la purezza della creazione di Dio in me è sedermi con lui, guardare i suoi occhi sereni, attendendo semplicemente la vita.

Vivere il momento, la poesia di essere Altrove dentro di me, gustare la vita, godere del tempo, che è semplicemente tempo, quello che è, non più tempo troppo lungo o troppo corto secondo i nostri programmi precostituiti, ma il tempo presente che ti è dato.

Liberare la fonte, aiutare Dio ad abitare quel pozzo altrimenti  vuoto e ricolmo di sassi che è il mio cuore.

Quando raggiungi l’Altro che è in noi, raggiungi il mondo intero, non temi più nulla, nemmeno la morte, il tuo prossimo è sorgente di acqua fresca egli stesso, vedi finalmente la bellezza delle cose.

Ora sono davanti a te, felice semplicemente di essere me stesso, la mia missione, il mio viaggio, è assaporare la meraviglia di essere Francesco; amarti, per me, significa farti comprendere questo, farti sentire che la cosa più importante al mondo sei tu come persona, aiutare Dio ad abitare il tuo pozzo.

Mi chiedi perché non facciamo altro che riempire di aride pietre la fonte di Dio?

Perché quando bevi quell’acqua  sei libero, non più gestibile, né riducibile ad alcuna forma di potere, immune da qualsiasi giudizio e pregiudizio.

Gibuti

Gibuti

Gibuti

Gibuti

Gibuti

Gibuti

Gibuti

Gibuti