Il denaro e la simonia – di Bruno Rindone

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Ho cento euro in tasca. Cosa ne faccio? Molte risposte vengono date a questa domanda:
1. Compro l’ultimo gadget sul mercato
2. Vado in discoteca e mi faccio una bella bevuta!
3. Mi compro un altro pullover. Mi potrà servire!
4. Li gioco al lotto, e vediamo che succede!
5. Pago l’anticipo per iscrivermi ad un corso
6. Li do ad una ONLUS perché svolga le sue attività
E mille altre!
E appare da questa breve lista di possibili risposte che il danaro è (o sembra) il motore del soddisfacimento di molteplici esigenze, alcune materiali (una bevuta, un pullover), ma altre immateriali (una speranza di vincita, la conoscenza di qualcosa di nuovo, l’aiuto a chi ha bisogno) etc.
Tutte aspirazioni condivisibili, che non danneggiano il prossimo, che riempiono la dimensione sogno di ciascuno di noi, che ritemprano il nostro spirito, sia pure in maniera diversa.
Ma c’è una modalità che sfugge a questa tipologia: la simonia.
La simonia era nel Medioevo la compravendita di cariche ecclesiastiche. Il termine viene utilizzato più in generale per indicare l’acquisizione di beni spirituali in cambio di denaro e deriva dal nome di Simon Mago, taumaturgo samaritano convertito al cristianesimo, il quale, volendo aumentare i suoi poteri, offrì a san Pietro apostolo del denaro, chiedendo di ricevere in cambio le facoltà taumaturgiche concesse dallo Spirito Santo (si vedano gli Atti degli apostoli, 8, 18-24). Il rimprovero che Pietro mosse a Simone è un monito per i cristiani odierni. La storia della cristianità abbonda di casi di simonia.
Chi può essere tacciato di simonia? Forse è simoniaco colui che usa il danaro per modificare la propria dimensione spirituale, o la dimensione spirituale della comunità di cui fa parte? No!
Il simoniaco è colui che compra con danaro una dimensione spirituale che solo con il pensiero etico, l’azione nei riguardi del prossimo, la fede (per chi crede), l’umiltà, l’amore, dovrebbe essere acquisita.
È invece degno di ammirazione chi, anche attraverso l’uso del danaro, alimenta il pensiero etico, l’azione nei riguardi del prossimo, la fede (per chi crede), l’umiltà, l’amore.
Ma quale è la differenza tra queste due modalità? La differenza è nel verbo “comprare”.
Chi compra, accerta il valore finito di un oggetto, di un atteggiamento, di un’idea, e mette sul tavolo il controvalore in valuta.
Chi alimenta, considera infinito il valore di un oggetto, di un atteggiamento, di un’idea, e mette sul tavolo un’offerta, che sa già essere imparagonabile con l’oggetto, l’atteggiamento, l’idea.
Ma non bisogna illudersi che tra questi due estremi non possa collocarsi un gran numero di fatti della vita quotidiana. E allora, che fare?
È qui che entrano in campo le regole! Una società civile si dota di regole che pur lasciando liberi gli individui di determinare soggettivamente il valore di un oggetto, di un atteggiamento, di un’idea, definisce le modalità attraverso cui questa determinazione di valore può dar luogo ad un’azione concreta di negoziazione.
Alcune di queste sono la libertà di proposta, la trasparenza delle procedure, l’oggettività delle valutazioni, l’indipendenza di chi deve giudicare ed assegnare il bene (concreto o astratto).
Possiamo dire che nella vita pubblica del nostro Paese questi principi generali e le regole che ne definiscono le modalità di attuazione sono rispettate?
Un esempio: la solidarietà verso il prossimo, la sussidiarietà (una sua pallida controfigura), vengono messe in atto rispettando le regole che ne garantiscono la correttezza?
Le numerose inchieste giudiziarie oggi in corso, e la messa in stato di accusa di molti pubblici amministratori (tra cui alcuni uomini di fede, memores domini e altri personaggi di autodichiarata caratura morale) non abbiano le idee chiare sul rapporto tra principi e regole.
E, se si dimostrerà che la comunità di intenti spirituali a cui appartengono avrà beneficiato di queste idee poco chiare, potremo dire che costoro hanno peccato di simonia?
Certo, sono simoniaci!