Denaro Slot/Le relazioni – di Gabriella Landini

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Il denaro.  Ovvero della relazione.

Valore, denaro, moneta, soldi.

 

L’età dell’oro, aurea aetas, è notoriamente il nome attribuito a tempo mitico di prosperità e abbondanza.

Secondo la leggenda nel tempo mitico, che corrisponde a una descrizione del Paleolitico nel suo passaggio al Neolitico, l’essere umano non era sottoposto al lavoro agricolo e alla coltivazione perché la terra elargiva ogni bene e soddisfaceva ogni sua esigenza. Non era praticata la guerra. L’uomo era perfettamente in armonia con il clima e quindi partecipava ad una sorta di felicità da Paradiso Terrestre senza turbamento alcuno.  Il racconto mitico subisce una svolta con l’intervento di Zeus, il quale, secondo Esiodo, fa terminare l’Età dell’Oro e avvia le Età successive, dell’argento, del bronzo, degli eroi, del ferro. E in principio l’accidente si rivelò come dono di morte e la cacciata dal Paradiso-Eden investì l’umana sorte nelle infauste figure di Pandora e Eva, entrambe incaricate per divino decreto di fare precipitare  gli uomini in un destino terreno di conoscenza del male e della morte, nell’incessante metafora del ritorno all’origine virginale “perduta” in partenza.  Curiosamente, la definizione di Età dell’Oro, attribuisce un equivalente-oro a un tempo in cui la bellezza, in quanto originaria e mitica, non aveva alcuna necessità di essere commisurata a valori quantificabili e paragonabili. E, dunque, la stessa Età dell’Oro diviene la prima straordinaria affabulazione a proposito della razionalizzazione del tempo mitico introdotto così nel bene e nel male, nel feriale e nel festivo, assecondando l’idea della vita in quanto elemento-obiettivabile e scambiabile, secondo un ordine gerarchico di valori. Il mitico divenuto parte integrante della sacra rappresentazione, del cerimoniale apotropaico per l’estremo auspicio di garanzia d’immortalità, finalizza la vita al valore, alla salvezza, alla protezione. Il valore è teleologico e tanatologico. Se la vita viene annoverata tra i valori, immediatamente può anche non averne nessuno. La vita è un incommensurabile che non può avere equivalenti in una qualsiasi entità definibile secondo “valore”.  Ritenere che la vita possa essere un valore (anche il valore dei valori, il metavalore), implica inserire la vita nell’ambito della res, e codificare l’elenco delle mancanze e dei disvalori usciti dal vaso di Pandora o dalla scelleratezza di Eva.  Noi viviamo secondo la gerarchia dei valori, mentre l’originario che la vita serba in sé occorre rimanga indiscutibile e ingiudicabile, nonostante la pretesa di fondare il valore come entità metafisica, che funzioni da mediatore universale per le vicende storiche del dominio. Dominio che decreti idealmente il conflitto dialettico e la sfida sociale, detentori dell’istituzione della vendetta,  in cui gli umani sono presi nell’ideologia del riscatto e del ricatto in vista della redenzione salvifica. Che cosa e come accumulare in funzione del ritorno all’origine? Quali sono i criteri di accumulo e di spreco per ottenere la salvezza? Quale vita avrà valore e quale no? Chi si salverà e chi no? Quali sono i manufatti e i feticci ideali? Nessuna invenzione è possibile per chi ricerca la strada del ritorno al “paradiso perduto”, per chi ricerca la salvezza spazio-temporale, anche in un fantomatico paradiso fiscale. Perché ogni produzione diviene riproduzione dell’esistente: codificazione ripetibile, dove viene evitata l’invenzione, evitato l’infinito attuale a favore del finibile, dell’esauribile, in ogni sua rappresentazione, compreso il denaro, la moneta, i soldi, la riserva aurea, il petrolio, il grano, l’energia… Valorizzare e validare diventano modi della significazione, come proprietà distributive ed esclusive della teorizzazione classista, dell’insieme come tale, e dell’appartenenza all’origine genealogicamente certificata. La valorizzazione, così, viene definita come viaggio di perfezionamento per il ritorno all’origine ideale, perseguendo la distribuzione grammaticale del valore, per ogni lacuna, per ogni mancanza, per ogni difetto. Formalizzazione sostanziale. Trattamento terapeutico anziché trattativa, ovvero assoggettamento a un valore ideale. Come eliminare l’incodificabile, l’incalcolabile, l’equivoco, la menzogna, il significante, il malinteso? Il risultato della valorizzazione è stabilito dall’equazione ontologica che passa attraverso la sistematizzazione e attraverso la codificazione, ovvero tutto è già significato e significabile. Il sistema è sistema di valorizzazione e di controllo, e in tal modo si scrive in un canone e in un codice.

La creazione del valore propone attraverso il trattamento ontologico, il debito totale. Tutto è in debito, finché non ritorna all’origine, finché non si ristabilisce il cerchio perfetto. L’unità androgina perfetta. L’ideale circolare è ciò che permette che ogni circolarità imperfetta mantenga ogni elemento nel debito, nel debito totale, fino al sacrificio della vita. La formula dell’economia politica è la formula algebrica dell’impresa. Se la memoria è senza causa prima e origine certa, è memoria dell’attuale, l’esperienza è memoria in atto, e dunque, senza ritorno. Il proseguimento è senza alternativa.

Anche il denaro è il segno della valorizzazione. E la moneta può essere immessa o tolta, a favore dell’equivalente generale dei valori di scambio. Equivalente generale dei valori di scambio garantito dal sistema. Il denaro, la moneta e i soldi si trovano quindi presi nella medesima ideologia, thanatos è il dono supremo per la realizzazione  ideale del ritorno riuscito dove il paradiso  è la panacea del: “tutto sacrificabile, conciliabile, sopportabile, compatibile”, senza l’ombra, senza la sfumatura, senza la differenza. La comunità stessa stabilisce ontologicamente come creare valore attraverso il pensiero causale, ponendo i postulati e i criteri della creazione di valore e del valore.  Allora il diritto, le norme, le regole, e i motivi, la fiscalità devono soggiacere a questo sistema di creazione del valore. Il denaro, la moneta e i soldi sono inscritti negli istituti della creazione del valore, e, anziché divenire aspetto del funzionamento della relazione si fanno sostanza vitale, realisticamente creduta tale e rappresentata in tutte le sue forme, al punto da potere essere causa di carestie, di schiavizzazione di intere nazioni, di guerre, di genocidi. Il denaro divenuto equivalente alla valorizzazione della vita entra nella sfera del bene e del male, del lecito e dell’illecito, del permesso e del proibito, dell’elemento soggetto a tabù attribuito alla vita in quanto tale. Entra cioè, in una demonologia che tenta di imporsi sul fare, predeterminando secondo “flussi e circolazioni” il ritmo, in modo che non assecondi l’arithmós (l’andamento delle contingenze) ma affermi il continuum con le sue rotture, fratture, fallimenti, frattaglie, cadute. Il denaro è indice della relazione, ma non di quella sociale; è indice della differenza, e non dell’indifferenza in materia di umanità, determinata invece dalle strutture elementari delle parentele, che presiedono alla genealogia con le sue filiazioni simboliche e istituzionali, le quali altro non fanno che riprodurre una credenza teomitica suffragata dal principio di ragione sufficiente.

Quando parliamo di denaro, moneta e soldi crediamo di definire entità concrete, tangibili, aventi una consistenza realistica, tanto da essere pensate come investite di un potere ultraterreno, estraneo alla parola. Tanto estraneo alla parola da essere sottaciuto e fonte di imbarazzo fino a farne la sostanza di ogni  gioco e partita.  Facendo una forzatura, potremmo dire che il valore è l’effetto di una partita in cui la vita e la morte non sono mai l’ipostatica posta in gioco. C’è la partita della vita, ma la vita non è una partita, tantomeno una posta in gioco.  Considerando ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo, si direbbe che accada tutt’altro, anzi che la censura intorno alla crisi economica che investe l’Europa giochi proprio sulla credenza che in nome del valore: “bene supremo e gerarchico”, come direbbe Orwell, c’è sempre Uno che è più uguale di Tutti.

La divinizzazione del denaro, che sarebbe un’immaginazione del menhir,  simbolo primigenio, il segno dei segni del potere, garantirebbe la base gerarchica all’economia, assumerebbe il ruolo di linfa vitale che passa dal grado superiore a quello inferiore. Come l’affiliazione che deve passare da padre in figlio, lungo l’albero di trasmissione del sangue, per inserire il sangue nella genealogia: così che la circolazione del denaro rappresenti la circolazione del sangue e divenga il modello della circolazione sociale, della rivoluzione circolare, in cui tutto procede dall’Uno e ritorna al punto di supposta origine, tolta l’apertura, eliminato l’Altro, l’ignoto e il miracolo.

Come creare soldi e moltiplicarli? Come accrescerli? Come aumentarli? Come accumularli? Per fare questo, l’infinito attuale non può essere tollerato. Occorre guazzare nello stagnante finito del finibile. E tutta la vita diventa un’agonia e una solenne marcia funebre.

Ogni impresa, ogni istituzione, deve essere impiegata nella sessualità creativa e procreativa, ogni azienda come luogo della creazione e della riproposizione del fatalismo e del suo rituale. Procreazione del valore, dove la produzione non importa, importa la riproduzione. La produzione potrebbe sfuggire, potrebbe essere contraddistinta da un abbaglio, da un inganno, da un malinteso. La riproduzione è genealogica e maternamente protettiva.

Potere e dipendenza, libertà e schiavitù: il denaro si nutrirebbe della giusta contraddizione per allinearsi nella divisione del potere sociale distribuito in una canonica di volta in volta ideologizzata.  Ma il moralismo intorno al denaro doppia l’asservimento della relazione alla mediazione che il denaro rappresenterebbe nella nostra credenza nell’unità originaria. L’Uno comporterebbe il sacrificio di Altro e di tutti come bene comunitario.

Il denaro fonda la rete delle relazioni sociali? Il denaro è una logica delle relazioni. Se diventa garante della linearità degli scambi, di una sostituzione significante senza resti, della circolazione della ricchezza e dell’economia del dono, il denaro diviene l’equivalente generale del sacrificio in vista della salvezza. Karl Marx citerà a questo proposito catene intrecciate all’infinito. Dunque, la salvezza non c’è stata, il ritorno neppure? Le catene non erano fedelmente, perfettamente riprodotte? La sessualità non era abbastanza creativa e procreativa, la formalizzazione non era abbastanza sostanziale? L’odio non era stato del tutto eliminato, il distacco pure, la differenza, e l’Altro inesorabilmente espunto, estinto, soppresso. Tutto deve avvenire nella calma, nella rappresentazione del bene totale, nella parodia dell’amore universale.

Marx  sostiene che “Se il denaro è il vincolo che mi unisce alla vita umana, che unisce me e la società, che mi collega con la natura e con gli uomini, non è il denaro il vincolo di tutti i vincoli?” Denaro, dunque, il simbolo del fondamento della relazione. Foriero di guai che sono attualmente esperiti nella nostra quotidianità.  La banca è vuota? Il conto langue? Qualcuno muore?  La guerra bianca? Ci siamo sentiti dire ufficialmente sugli organi di stampa che questo era da mettere nel conto? Ma quale conto? Quello genealogico? Quello in cui la vita inserita nell’ordine dei vincoli del valore li perde tutti e si affida alla genealogia parentale, secondo la quale solo alcune vite hanno un immenso valore monetizzabile, le altre nessuno. E per realizzare il reale di un principio di dominio lo spettro della morte si affaccia per mancanza di denaro, che sarebbe come dire per un deficit di relazioni. Relazioni da guarire, da salvare, da rattoppare, per tappare, per tamponare. La vita passa e scorre tappando i buchi. Assurdo, assolutamente assurdo, eppure la credenza ontologica è tale da offuscare la saggezza di ogni ragionamento, di ogni forma di liberalità. Ab origine la relazione e la colpa, la coscienza di colpa, coscienza morale, ma, per prolessi, il migliore segno della colpa è la pena. Allora tanto vale arrivare subito alla pena, anziché lasciare affiorare qualche dubbio sulla colpa. La penalizzazione è la migliore purificazione. Ognuno se la dà e ognuno, attraverso la pena che si assegna, si salva. Solo che la pena non è mai abbastanza sicura, ce n’è sempre una più grave. Tutto ciò fa parte del gioco che si fonda sul principio di morte. Fino al fallimento dello Stato, e delle singole società umane, in un’accettazione, che dall’asservimento alla rivolta, mostra sempre lo stesso volto ripetitivo, con aneliti di purezza. E le epurazioni sono memoria nota del ristabilimento che procede dall’azzeramento, tolta la funzione di zero nella parola, fino al genocidio. Per Bacone, il denaro è da considerare letame che deve essere sparso altrimenti gronda di sangue. Ma tutte le figure che alludono alla relazione dall’anello, alla catena, all’albero, al nodo, alla treccia, riguardano l’apertura, l’intrico e la sua infinitezza di sbocchi, che non ritorna e non si ricompone. L’idea stessa di un tempo del ritorno all’origine, di ripristino senza resto, è fonte di stasi e impedimento del movimento nel tempo attuale e per il futuro.  Come tornare all’origine con la morte, fosse anche l’aldilà teologico, o la promessa d’immortalità planetaria, se nascendo mi è ignoto da dove vengo e dove vado? Se ammetto l’apertura, che il cerchio non si chiude, che il tempo non finisce anche il denaro non entra nella circolazione per fare linea escludendo l’Altro. Non c’è sistema che possa farsi garante dello scambio, che possa fare da copertura, che possa coprire le spalle dal rischio di vivere, e divenire, invece, scongiuro di morte.  Il sistema è un credo potente (e credere nell’esistenza del sistema implica farlo sussistere come potere), ma è al contempo fallimentare in partenza, perché non in grado di reggere la differenza, lo scambio narrativo della parola, lo scambio pragmatico. Il sistema è un’allucinazione proiettiva, in quanto tale non esiste, ma la sua favola travolge l’economia politica e decide  le nostre sorti  insieme al destino del pianeta. Il denaro, in quanto uno dei mezzi della parola e dello scambio, si situa in un’astrazione, e ironia della sorte, occorra non manchi mai affinché ci sia futuro, impresa, azzardo, rischio e l’interminabile del viaggio.