Amore- Lo sproposito- di Gabriella Landini

Foto di copertina di Enrica Alpi

 

Amore- Lo sproposito

 

Amore è una parola frequentissima nella nostra comunicazione, interviene in modo prepotente nelle nostre relazioni umane. Parola solitamente connessa all’Eros e all’inquieto manifestarsi del desiderio è differentemente dalle nostre credenze però un moto potente, volitivo, ricco di entusiasmo dell’esistere privo di moventi erotici o finalizzazioni di qualsiasi genere, ben diversamente da quanto la nostra cultura predica in vasta produzione da millenni.

Amore di patria? Amore del signore? Della signora? Dell’amante? Del padre e della madre, del figlio e della figlia? Del cane, del gatto, del canarino? Della casa e del giardino? La parola “amo” racchiude una varietà sfumata e vastissima di significati rigorosamente a sproposito. L’amore è uno sproposito che nella storia della cultura si è sostantivizzato a oggetto passibile di sapere e conoscenza, di possesso e appartenenza e suscettibile di prove, di verifiche, di prescrizioni (e divieti) sempre rigorosamente ammantato di perigli e sfide mortali, quando non addirittura promotore di vicende sanguinarie. Ogni guerra è fatta per il bene e per amore di qualche ideologia imperante contro qualche cosa che mina la realizzazione del principio unificante e riduttivo dell’amore universale, della perfetta armonia di ciò che viene teorizzato come Cosmo, Universo, Poliverso…più esattamente quell’ente, un certo alcunché, di contabile, quantificabile e misurabile a cui l’individuo ritenuto s-oggetto dovrebbe fare riferimento e adeguarsi assoggettandosi.

La mitologia è antichissima ed è di derivazione greca. Secondo la leggenda la divinità ci avrebbe messo il genio creativo con una formidabile trovata; nella fattispecie il responsabile sarebbe stato Zeus, e Platone formalizza nel Fedro e nel Simposio un’eccellente loghia intorno alla mitologia androgenetica. L’uno diviso in due, (Zeus, il primo chirurgo della storia della civiltà, avrebbe operato il taglio di un androgino autonomo e poliversatile, metamorfico, quindi felicemente perfetto, in due metà scontentissime dell’esito dell’intervento), inaugurando così il “sentimento” di mancanza, la vulnerabilità, la passione­­, (il pathos consapevole)–pathos-logos, l’empatia , la simpatia e l’antipatia, la malattia, l’imperfezione, la guarigione, la salvezza, e tutto per intervento, per effetto o per difetto, dell’amore che riporta le due metà a ricomporsi nella totalità dell’Uno, a ripristinare quell’unità androgina precedentemente separata che destina gli esseri umani a portare il “segno” della loro umanità in quote di sofferenza di volta in volta graduate dalla loro manchevole incompletezza. Inoltre, l’Eros perde la sua peculiarità di forza indipendente e libera, viene regolato, assimilandolo e inserendolo  nelle pulsioni amorose votate alla categorizzazione della conoscenza dell’Essere. Quella che apparentemente appare come una disquisizione sulle vicende dell’incontro amoroso con l’altro a livello delle attrazioni aleatorie denominate “istintive”, diviene una dettagliata dottrina politica esaustiva e totalitaria. La riduzione all’Uno diviene un perfetto dispositivo politico per non ammettere la differenza, il distacco, l’Altro, l’incodificabile. L’inconciliabile e l’incomunicabile della parola necessita essere ripudiato a seconda dei casi in quanto manifestazione  dell’odio, del male, della follia. La dialettica diviene regolamentazione del conflitto come teoria del dialogo (conflittuale a priori) e l’amore il trionfo vittorioso sul conflitto, sull’ostile,  la sua ricomposizione a “coppia dialogica”. Per amor di pace, la resa. Per amore o per forza: l’accettazione, la rassegnazione, il compromesso, in assenza  di Altro, ma in particolar modo l’amore-oggettivato diviene presupposto della dissertazione ontologica. Qualcuno vince, qualcuno perde, la riduzione all’unione degli opposti, dei contrari, degli inversi, togliendo la specificità, la differenza e la tolleranza, omologando l’amore alla retorica della loghia, di quella razionalità che associa l’amore all’Eros per canonizzarlo e addomesticarlo. E se Amore e Eros restano slegati, iatonici, non finalizzabili alla riproduzione, alla procreazione, mostrando l’originaria apertura del due, (di due non si fa uno e l’uno non si divide in due) saranno entrambi aspetti dichiarati pericolosi per il sistema, per la società, per l’ordine pubblico, perché possono produrre disordine, caos, follia, indipendenza dell’individuo , responsabilità.  Come se ciò che noi chiamiamo equilibrio, armonia, pace, fossero elementi determinabili a priori e non fossero l’esito dell’Abbandono che ben poco ha a che vedere con l’amore idealizzato, con l’amore realizzato, con l’amor cortese, con l’amore reciproco, l’amore dell’anima, l’amore coniugabile, con l’amore passionale. Ha a che fare col dare e con l’accoglienza, con l’ascolto di ciò che per ciascuno e non i tutti è radicalmente differente. Specifico e speciale.

L’Abbandono è la condizione di non appartenenza, nessuno può appropriarsi della vita, vive e vivendo sta in un assoluto e in questo assoluto ( all’etimo: sciogliere, liberare, assolvere, libero da vincolo e limitazioni, irrelato, indipendente…) l’amore è un impetuoso movimento incontrollato verso un oggetto aleatorio, un’apparenza, una sembianza, imponderabile, inafferrabile per vastità e ignoranza. L’amore riguarda il dare, lo scambio incontabile senza rapporto di congruenza tra il dare e l’avere. E l’amore più ne da più ne ha.  E non occorrono requisiti per amare, sapienze, neppure meriti e conquiste, termini questi legati all’idea dell’amore come amore per il dominio dell’oggetto creduto amato, eroticamente conosciuto attraverso il fantomatico “rapporto sessuale” e dunque divenuto s-oggetto in cui riflettere l’idea della propria presunta identità attraverso la gnosi, il sapere, il controllo, da cui conseguono i giustificati e micidiali “comportamenti sociali” dettati dalla gelosia, dall’ invidia, che propagandano l’aggressione etc. L’amore non riguarda l’essere e l’avere, manifesta l’impossibilità di possedere e padroneggiare la parola, e quindi sta nel canto dei poeti, ma non nel discorso amoroso che è una faccenda di potere, di proiezione, di protezioni e sicurezze per di più illusorie. L’attaccamento alle persone come alle poltrone, l’orgoglio e la fierezza del possesso forniscono un senso di dominio di padronanza, di evitamento della paura della solitudine, della morte, quella solitudine originaria che non ci rende metà dell’uno, bensì ciascuno una particolarità irripetibile, individuo,unicità ( il celeberrimo c’è dell’Uno , ma non facciamo mai Unità tantomeno comunitaria e sociale) in relazione con Altro. In Altro- l’incontro-con uno, nessuno, centomila.