Quayola / La rivincita della superficie – di Fabio Carnaghi

 

 

Il confine tra contemplazione, entertainment e interattività cognitiva si annulla nell’operare videografico di Quayola. La promiscuità dei livelli percettivi si traduce in uno straordinario itinerarium mentis che conduce all’approdo di un’aisthesis realisticamente resa. Le scomposizioni della materia, che con le sue evocazioni determina l’aura artistica del manufatto, descrivono le traiettorie di una gnoseologia intellettuale. L’intelletto agisce mediante un processo di astrazione che trae dalle immagini una rappresentazione della sensazione emanata dal tramite visivo. Si assiste alla solidificazione di un moto, vero e proprio fenomeno proveniente dall’ermeneutica del rappresentato. Tale procedimento interattivo sfocia nell’estasi che si allontana dalla mente in un coinvolgimento sensoriale capillare. Una sindrome di Stendhal totalizzante è innescata dall’immersione nello spazio subliminale alla conoscenza, nell’istante immediato della visione.

L’intervento di Quayola mette in comunicazione Tiepolo, Rubens, Van Dyck e Rodin con l’universo estemporaneo della mente. Si concettualizza uno statuto che rende possibile ogni vena dell’immaginario. Lo scandaglio destrutturante trasforma in rilievo la materia pittorica piuttosto che il supporto fisico dell’opera d’arte, che, da patina bidimensionale o dimensionata al suo contesto esecutivo, si stratifica in architettura solida di gesto-segno. Dal tutto tondo alla piattezza univoca, l’opera d’arte, reliquia storicizzata, è oggetto di uno screening ricognitivo e dissacrante di ogni postulato di inviolabilità e di liturgica preservazione. Lo svelamento dei livelli diventa la modalità di un percorso immersivo metaforicamente affine alla ricerca del vero, al di là di ogni escamotage persuasivo della mano dell’artista originario. Per questo alla staticità dell’arte musealizzata si sostituisce l’animazione tridimensionale, che conferisce al significante iniziale uno spessore ulteriore. L’originale si frantuma nella sua visone generale per essere restituito nella virtualità in ogni più piccolo frammento. Questi virtual tour si rivelano esperienze percettive che sgretolano ogni trascendenza a favore dell’immanenza della vis creativa. Il visitatore da homo viator, quasi spettatore, diviene soggetto attivo, demiurgo della sua immaginazione. La risignificazione dell’opera d’arte si indirizza verso nuove aperture che, superata ogni esausta citazione pop, approdano ad un ripensamento in chiave tecnologica dei concetti di reale e irreale, possibile e impossibile, vero e falso.

Il barocco controriformato, dunque, con le sue monumentali architetture riecheggia in austere reminiscenze apocalittiche. Il gotico delle vetrate si scompone in scaglie aguzze e caleidoscopiche, infrangendo le sue bibliche citazioni. Las Meninas di Diego Velásquez e L’Immacolata Concezione di Giambattista Tiepolo dal Museo del Prado si rigenerano in una nuova frontiera dell’intellegibile, smitizzando il concetto di capolavoro ed aspirando ad un altrove in cui agisce una triangolazione rivelatrice di substrati e di ogni più piccola variazione tonale o cromatica. Si evince un background che ricostruisce il livello zero, la tabula rasa, in un approccio istintivo, prima che l’intelletto costruisca le sue congetture e le sue convenzioni di riconoscibilità iconica. Dalla collezione fiamminga del Palais des Beaux Arts di Lille è tratta la rilettura di Rubens e Van Dyck: la sacra rappresentazione della Passio Christi, di estasi e di martiri agiografici si aggiorna in un linguaggio plastico attraverso un dialogo serrato tra due epoche e due formae mentis. Il soggetto finalmente è libero di trasfigurare e trasmigrare dalla tela, assecondando la sua aspirazione all’ultraterreno. Allo stesso modo le mitologie neoclassiche del Grand Théâtre di Bordeaux vincono il loro retorico ingabbiamento iconografico, senza il quale Apollo e le Muse assurgono all’atmosfera cosmogonica a cui appartengono nella leggenda. Infine, Le Penseur di Rodin si riavvolge in movimenti sussultori che rievocano lo stato grezzo del blocco marmoreo, tra finito e non finito, tra levigato e scabro, tra classico e primitivo, distruggendo l’idea di perfezione anatomica e rintracciando nella scultura la tensione brulicante dell’attività interiore.

Quayola si pone come artefice della rivisitazione cogliendo la polisemia e il dinamismo dei linguaggi.
Il revival permette di superare i confini della materia e di creare atmosfere nuove attorno al documento/monumento, infrangendone il culto e il valore in quanto statica memoria. Diviene così fondamentale il binomio tra religio, ovvero il nucleo originario, la verità velata nel senso etimologico di aletheia, e superstitio, la patina superficiale, lo strato esteriore che cela, limite e protezione del contenuto essenziale. Nella creatività contemporanea di Quayola l’involucro da mera apparenza scopre la sua indispensabile funzione: la forza di rigenerare sensazioni oltre la storia e il confine inesorabile del tempo.

 
 
©Fabio Carnaghi