Davide Mosconi, Il giro del mondo – di Gabriele Bonomo

 

Con il ciclo di opere dal titolo “Il giro del mondo: Landmarks” (1974), Davide Mosconi adottò in modo definitivo la tecnica Polaroid in quanto mezzo di decostruzione analitica dell’immagine fotografica. Base concettuale di questo ciclo fu un’installazione fotografica realizzata nello stesso anno che riproduceva, in scala reale, la mappatura di uno spazio espositivo attraverso un numero determinato di punti di osservazione mediati dall’inquadratura fotografica: “Rilevamento di 30 punti di vista all’interno di uno spazio adibito a galleria d’arte in Torino eseguito con fotografie Polaroid 8 x 8. Le fotografie sono appese nel punto esatto dove si trovava la macchina appoggiata all’occhio” (D.M.). “Il giro del mondo: Landmarks” applica invece la stessa logica di osservazione, riconducendola però a “images trouvées” preesistenti e neutre nella loro banalità funzionale: serie omogenee di cartoline postali che illustrano alcuni luoghi simbolici visitati dall’autore o legati a vario titolo alla sua biografia. Si enumerano almeno sei diversi soggetti: Milano (Domo), Bruxelles (Grand’Place e Hotel de Ville), Amsterdam (Magere Brug), London (Piccadilly Circus), Mexico (San Juan Teotihuacan), e Niagara Falls. Per ogni immagine di ciascuna cartolina Mosconi risalì al preciso punto prospettico dell’inquadratura e decise di scattare a sua volta una nuova fotografia nello stesso punto, rivolgendo però l’obiettivo verso il suolo (con una sola ma significativa eccezione: la prospettiva delle vedute aeree dei templi messicani di San Juan Teotihuacan gli suggerì invece di rivolgere l’obiettivo verso il cielo, a suggello di quanto i “cieli” risultino di fatto il tema figurativo più ricorrente nella fotografia di Mosconi). Il lavoro definitivo si compone così delle due fotografie sovrapposte l’una sull’altra, come se ciascuna immagine dovesse contenere, in sé, anche il proprio specchio negativo.

© Archivio Davide Mosconi