Stefano Teglia, Mitico moderno – di FSS



 

Stefano Teglia è uno che raccoglie sulla spiaggia, per esempio oggetti che traducono la voce del mare.
Fa pittura, ma la sua è un andare al di là della superficie, toccandola, estraendola, aprendola e insieme socchiudendola in accendersi di materie naturali e colori.
Nessuna metafisica in Teglia. Ma neppure scienza, che vorrebbe dire certezza, immobilità.
Non ingannino i titoli delle sue opere.
Nessuna percezione del reale come convenzione, come dato.
Agglomerati, ecco il termine: su tavola, su specchio, su tela, che potrebbe anche risalire a oggetti concreti se fossero stati immobili.
L’invenzione di Teglia è fluida.
Fiamma sull’accendersi. Segno insignificabile. Verde? Come un’acqua in cui galleggi un ineffabile.
Rosso? Un abisso? Un’ascesa?
Scarto improvviso. Una sequenza del tempo. Ma tempus è ritmo, non è successione di staticità.
L’oggetto come pretesto? Macché, l’improbabile che è un naufragio, dal quale si salvano balenii, riflessi.
Un’arte fatta di lampi, di momenti cromatici, perfino sull’orlo del silenzio. Bosco. Casa remota. Brivido. Rivelazione.