Francesco Saba Sardi – Articoli editi e inediti – di Gabriella Landini

All rights reserved© Gabriella Landini

Foto  di Francesco Saba Sardi© Archivio Saba Sardi

.

.

©Francesco Saba Sardi

©Francesco Saba Sardi

Francesco Saba Sardi è stato scrittore di vastissima produzione letteraria e autore di una altrettanto immensa opera saggistica che interessa sconfinati ambiti teorici di ricerca. Se la produzione edita è da ritenersi poderosa, per estensione ed elaborazione, non da meno lo è la sua produzione inedita. La sua figura di intellettuale, è stata e resta unica e singolare nel panorama internazionale, sia rispetto all’epoca virtuale che predilige, alla valorizzazione dell’opera, il messaggio mediatico estemporaneo del personaggio-autore di facile accessibilità, che alla tradizione a cui resta irriducibile per inclassificabilità e stile.

La scrittura di Saba Sardi, nella sua magmatica produzione portata a compimento, dunque edita, va a comporre il disegno di un’opera infinibile. Infatti la combinatoria dei lavori merita un’attenzione particolare. L’opera inedita, se così possiamo chiamare testi di conferenze, articoli per mostre e per incontri pubblici,  non differentemente si integra con il corpus edito, ed è quanto ci proponiamo di fare dedicando una monografia all’autore Francesco Saba Sardi.

 Nella sua attività intellettuale l’autore ha sempre elaborato, in simultanea, narrazioni, traduzioni e trattazioni saggistiche, dove le une rinviano alle altre in una complessa formalizzazione di varietà di interessi e temi. L’eccezionalità del procedimento fa sì che intercorra un’estrema differenza di forma espositiva fra i due ambiti: quello saggistico impiega la logico discorsività per analizzare il Discorso come causa; quello narrativo si avvale della poiesis per articolare il mitico. Infatti nelle opere poetico letterarie la tessitura paratattica della lingua non permette il ritorno dell’identico, ciascun luogo è anche sempre altro, è da un Altrove che muoviamo i nostri passi, è verso un Altrove che ci dirigiamo. Saba Sardi distingue la letteratura dalla  scrittura poetica, ritenendo gran parte della produzione letteraria una emanazione e un’estensione  del discorso razionale.

La sua opera è la pratica delle più svariate forme di scrittura: dalla traduzione da sei lingue, per i cui meriti è stato insignito di premi nazionali e internazionali, al saggio, alla narrativa, alla poesia. Il suo, è il cimento arduo di vivere da uomo di cultura ciascuna esperienza esistenziale che gli si sia presentata innanzi. Raro trovare un ingegno eccentrico e poliedrico tanto impegnato nell’indagare ogni aspetto dello scibile e che con estrema cura e rigore abbia curato e scritto: libri per bambini, racconti erotici, volumi di viaggio sulla traversata dell’Africa, sull’India, sul Brasile, testi culti di cucina, saggi per artisti e pittori, pampflet sull’immigrazione, opere saggistiche di grande rilievo (alcune celeberrime come Il Natale ha 5000 anni; 1958; 2007, Sesso e Mito;1962; 1975, tradotti in varie lingue), in materia di religione, guerra, potere, militarismo, arte, follia, “selvaggi”, insieme a una sterminata produzione letteraria, nella quale ciascuna teorizzazione trova una speciale incisività data dalla forza stilistica del testo. Saba Sardi è certamente da considerare per l’Italia e per l’Europa un’eccellenza internazionale nel mestiere delle lettere ed anche un intellettuale oltremodo scomodo: un anarchico-eretico onnivoro e dissacrante sempre in viaggio, errabondo della vita di cui indica il sogno narrando. Un itinerante della cultura e delle culture che considera la stesura del testo razionale non meno fantasiosa, per quanto più ferale perché letteralizzante, dell’affabulazione narrativa favolistica. Di questo tema tratta ampiamente nel saggio L’Onnifavola (2010).

La parola è enigma irrisolvibile, sfugge alla presa, non c’è possibilità di avere dimestichezza con il linguaggio, non abbiamo facoltà, capacità, competenza che ci faciliti e consegni il percorso ben cartografato, siamo consegnati al viaggio impervio, di esistere raccontando sulle tracce del mitico. La particolarità narrativa di Saba Sardi è di attenersi ad uno stile che non utilizza la logico-discorsività, quella che in filosofia si chiama ratio. Il discorso risulterebbe una costrizione, un procedimento causale che imporrebbe l’adesione a una coerenza precostituita e riconducibile a un sapere dato in partenza. Implicherebbe supporre una origine al di fuori della parola di cui l’autore si avvale per dominare la lingua in cui egli stesso si pone. Presupposti questi, che determinano la credenza sull’uso-consumo teso a finalità comunicative corrette della lingua, una concezione che Saba Sardi considera dettata dalla Paura del manifestarsi della Parola, che non ha finalità extrareferenziali, è inservibile e si regge sul suo semplice apparire (Phanes). La speranza di trovare in un’invariabilità pre-Babele la conferma di una lingua adamitica, il germe iniziale e la scaturigine dell’origine dell’Universo dalla quale far dipendere la genealogia del bene e del male, dell’aldiquà e dell’aldilà, del mondano e del divino, è il risultato di un pensiero che presuppone il principio di identità come negazione della Spaltung, la scissione insita nel ritmo. Difficile intendere, che è ciascun atto di parola in quanto tale a essere originario e che il nostro esistere in esso si situa. In un articolo inedito Saba Sardi afferma che «nonostante le pretese della ratio è impossibile la sintesi della schisi».

Il principio di non contraddizione, la coerenza gerarchica nella logica del discorso sono espressione della cultura occidentale che da Platone, Aristotele a Cartesio, Hegel, dall’epistemologia all’ontologia non ammettono l’inconciliabile. Il principio di non contraddizione e il principio di identità sono i cardini su cui si regge il logos, inteso come discorso. Se l’Altro è tolto, il discorso si qualifica come discorso intorno e per la morte. Inammissibile per il Discorso, l’alterità, se non riconducibile alla sintesi, alla mediazione di due termini, l’uno diviso in due e non il due, il mille o ciò che è stato definito l’informe, come apertura originaria. La reductio ad unum pervade tutto il pensiero occidentale ed è anche prerogativa delle religioni monoteistiche. Questa alterità irrisolvibile è costitutiva dell’opera di Saba Sardi. La sua è dichiaratamente un’elaborazione e una pratica dell’ossimoro che lo situa nella dissidenza dal Discorso occidentale.

Per Francesco Saba Sardi, quello che viene definito discorso (ratio, logia), sono di per sé il Potere, il suo strumento elettivo. Ed esso contiene il principio di causalità. Rispondere alle due domande quando è stato inventato il Potere? E perché? nei termini del Discorso, equivarrebbe a spiegare il potere con il Potere. Darlo dunque per scontato, per “artificio metafisico naturale”. Come del resto accade in gran parte dei testi che si siano posti il problema. Ciò che interessa è ciò che al discorso sfugge; ciò che il potere, nonostante il suo imporsi con la letteralizzazione del Testo e richiedendone l’osservanza, non riesce a controllare, pur mantenendo in sé la perseverante aspirazione al totalitarismo (Dominio, Potere, religione e guerra, 2004) .

L’istaurarsi del Potere che coincide con il Neolitico, con l’abbandono della caccia e la raccolta e con lo stanziamento dei gruppi umani in formazioni gerarchiche che hanno dato avvio all’istituzione delle società, delle religioni, della guerra sistematica, è il punto di osservazione dal quale Saba Sardi conduce la sua analisi. Non è un punto di nostalgico ritorno, o rammarico per una dimensione perduta, è la semplice constatazione di un cambiamento che ha sovvertito le sorti dell’umanità.  La riduzione ad un’unica dimensione, che nel corso del tempo ha soppiantato ogni altra forma di cultura, per Saba Sardi sono oggetto di indagine, considerando che  il Potere si è istaurato sul mito tramutandolo in favola. La sua analisi è straordinaria non solo per la vastità delle fonti reperite viaggiando in ogni parte del pianeta, ma anche perché, come lui stesso dichiara in un’intervista  il potere non è riformabile dal suo interno, ma è invece possibile «che si cominci a rendersi conto della natura mitica del potere, inteso come monopolio del mitico, monopolio della violenza di cui le gerarchie si impossessano privandone i sudditi o nascondendola a loro, impedendo che ne siano edotti. Al gioco della guerra, il potere sostituisce la rivalità fra i membri della società: il guerriero diviene soldato». E ancora : «Non è possibile riappropriarsi della dimensione mitica, recuperare la violenza, toglierla cioè al monopolio del potere, scegliendo questa o quella ideologia, questa o quella strada tracciata dal potere. Per quanto riguarda le ideologie di ogni sorta, direi che la loro pretesa razionalità non è che l’ennesima razionalizzazione di cui il potere moderno si ammanta, così come quelli precedenti e anzi, reiterano le incarnazioni terrene della sacralità. In effetti non c’è gruppo e non c’è classe più o meno strutturata che non sia capace di assicurare, attraverso la riorganizzazione e una super- razionalizzazione, l’uscita dal labirinto, la liberazione dei vincoli. Non c’è classe o gruppo dotato per destinazione storica, biologica, per fatalità o per scelta, per costituzione o volontà, di una miracolosa razionalità tale che gli permetta di ricomporre in maniera accettabile il disegno del mondo. L’aspirazione non può essere verso una società autonoma, che recuperi la dimensione mitica, e neppure la dissoluzione della società, dal momento che questa è stata determinata dal potere. Ritengo che, così come è stato inventato il sistema del potere, si possa inventare qualche cosa di diverso. Per farlo è però necessario innanzi tutto rendersi conto di che cosa sia fatto il sistema del potere. Per quanto riguarda la spiritualità, essa non è che irrazionalismo, cioè l’altra faccia del razionalismo: fa credere che l’aldilà, cioè l’informe, il mondo che è prima della nascita e dopo la morte, possa in realtà venire rappresentato, visualizzato, colonizzato, redento».

 La distanza che separa Saba Sardi dalla comunità letteraria e accademica nazionale trova in questa non appartenenza alla logìa le ragioni di una distacco anche dai luoghi della sua spettacolarizzazione, da intendersi come locus, del resto il distacco è condizione irrinunciabile per uno scrittore che ha fatto dell’erranza la sua poetica, la sua arte, il suo stile.

In un prezioso brano inserito nella raccolta di autori vari Freud,Gerusalemme nella psicanalisi(1984), in cui racconta in brevi accenni la sua storia, dice di essere senza patria e di svolgere un mestiere che è quello tipico di chi vive nella condizione del profugo da ogni luogo, di chi è nomade anche senza il cammello e senza il carrozzone dello zingaro. Fare l’uomo di lettere implica l’abbandono della spazialità: del topos a favore del poros. Saba Sardi narra che il burro se lo guadagna scrivendo racconti, narrazioni, romanzi, saggi, poesie, e il pane traducendo da sei lingue, fornendo consigli agli editori.

E prosegue: «Dal punto di vista di una società rigorosamente spaziale, qual è diventata l’occidentale, sono paragonabile a un artigiano ambulante, a un calderaio, un ombrellaio, un impagliatore di seggiole: al pari di loro, porto con me gli strumenti essenziali del mio mestiere, carta e penna. Trovo sul posto i materiali di cui servirmi, le occasioni ovvero le provocazioni. Ma, più esattamente ancora, potrei paragonarmi all’ebreo errante della leggenda, con la differenza che non ho nessun tempio del quale lamentare la perdita, non aspetto nessun regno, nessun messia. Semplici gli strumenti del mio lavoro, semplice il mio lavoro, che è solo fatica e nient’affatto lavoro, comunque l’unico che so fare: raccontare storie: anche quando in apparenza elaboro teorie, in effetti non faccio che narrare favole. Un jongleur, alle prese con la pratica del gioco, tanto da poter essere allo stesso modo attore, buffone, violinista, altri mestieri che s’attagliano all’errante. Tuttavia il raggiungimento di questa condizione non è priva di perigli, di canti di sirena che divorano i naviganti. Il nostos può facilmente trasformarsi in un itinerario nei luoghi deputati alla morte e ai suoi culti. Non è dunque senza sforzo che si diventa erranti… Perché è una condizione alla quale non si perviene casualmente, né che sia data a priori: è forse un dono degli dèi, ma è anche una scelta».

In questa monografia è stata privilegiata l’esposizione dell’opera saggistica dell’autore. Essendo la materia sconfinata e complessa, si è deciso di pubblicare testi che espongono elementi del pensiero dell’opera di Francesco Saba Sardi, a integrazione e approfondimento della saggistica edita.

.

.