Il Fantasma/L’inafferrabile – di Gabriella Landini

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Copertina di Stefano Teglia

Stefano Teglia, Senza titolo, 1996

Stefano Teglia, Senza titolo, 1996

Il fantasma opera nella parola, ruota intorno al desiderio, è insituabile, irraggiungibile, inafferrabile, non obbedisce alla logica dello spazio tempo, lascia il discorso aperto, arbitrario, non padroneggiabile. Ciò che appare, phanes, è nella parola, però nella nostra cultura il fantasma si tramuta frequentemente in una fantasmatica, o meglio in una rappresentazione ad uso e consumo di mille credenze, e da queste fantasmagorie di parvenze sono scaturite leggende, letterature di genere, capolavori, strumentalizzazioni ideologiche. Il fantasma viene rappresentato come un alcunché che appare, come ci racconta l’etimologia del termine che solitamente impieghiamo. Nel Don Giovanni di Mozart, come nell’Amleto di Shakespeare, il fantasma del padre defunto è ciò attorno al quale ruotano le vicende narrate. Nel romanzo Giro di vite di Henry James scopriremo solo nelle ultime righe che tutta la storia narrata altro non è che un vorticoso roteare illusorio attorno alla parola e a quanto la parola riesce a imbastire fantasticando, il fantasma rivela il niente insito nella parola medesima. Nella Mascherata della morte rossa, di Poe, il fantasma della peste si presenta a un ballo in maschera organizzato da coloro che isolatisi dal mondo, se ne stanno festeggianti asserragliati in un palazzo pensando di avere scampato il flagello, qui in gioco è il fantasma del potere che nella pantomima fa emergere, paura, salvezza, condanna, morte, vita, amici, nemici. Tutti gli elementi sono messi in scena in un rocambolesco rincorrersi di inquietanti interrogativi, per mostrare sotto la maschera rossa la suprema beffardaggine del nulla a consistere. Sotto la maschera: il nulla. Il fantasma nella sua inconsistenza mostra la realtà in quanto irreale, e le sue conseguenze quando si tramutano in azioni. La logico-discorsività inventa la rappresentazione del fantasma come un alcunché di esistente per poi svelarsi nel narrato come un vuoto d’esserci. Tolta la maschera, altre maschere. E la fantasia bizzarra incontra tutti i pretesti buffoneschi e terrorizzanti per sbugiardare l’inganno di chi si vuol farla da padrone attraverso prescrizioni e proibizioni con l’inesistente. Il phantome nella sua essenza non c’è, non si concede all’esserci, e in quel suo imperscrutabile dar da pensare interroga sul da dove viene e dove va la parola. La parola insondabile, la sua inoggettualità, il suo non essere cosa, mette in palcoscenico una carrellata di mimi alla rincorsa di un punto causale coerente che alla Godot resta introvabile, seppure nell’attesa le interpretazioni proliferano. La logica discorsiva pretende di saperci fare con l’incommensurabile, pretende di farsi totalità mediata dalla razionalità, una totalità visualizzabile, definibile e dimostrabile e in tale invenzione il fantasma rinvia in un caleidoscopio di specchi, tutti i suoi trucchi, gli abbagli e le sue ironie. Così nell’immaginario si sprecano trovate e inscenazioni di lenzuoli, defunti, spettri, troll… l’elenco è sterminato, quanto lo sono le cose inspiegabili, che possono solo essere narrate senza pretesa di essere esaustive per via di dimostrazione scientifica. Il fantasma si articola dicendo, parlando, ruota intorno alla cosa, senza acchiapparla, tanto che con molto umorismo un vecchio film s’intitolava Ghostbusters ; ma il fantasma c’è proprio perché inafferrabile, perché quel che noi chiamiamo raziocinio abbia un punto di apertura, non designi, né nomini pretenziosamente, una totalità senza resti. Ma fin qui abbiamo argomentato di come i fantasmi vengono mascheralmente rappresentati per lasciare aperto il discorso, più precisamente il fantasma è insito nel discorso razionale, ma fantasmi sono le idee che ci ruotano in testa, le ispirazioni a cui rivolgiamo i nostri pensieri; uno scrittore cinese in libreria in questi giorni raccontava come fra mille peripezie avesse composto e ricomposto lo stesso poema ricordando la sorella scomparsa anni prima. Il fantasma in questo caso non rappresentato è divenuto elemento di tenacia, forza, ispirazione, compimento alla scrittura, è divenuto operatore alla scrittura stessa. Per non parlare di Laura per il Petrarca, o Virgilio e Beatrice per Dante. Non ci è dato guidare il fantasma, bensì opera nella parola.
Quando il fantasma diviene una fantasmatica, una rappresentazione ritenuta esaustiva e coerente, il fantasma viene strumentalizzato per passaggi all’azione, e in questo caso si hanno le grandi mobilitazioni intorno alle più svariate paure e credenze. L’esito più nefasto di tutto ciò sono come sempre le mobilitazioni e la guerra. In questo caso si dà il fantasma del fantasma, cioè il presupposto che la parola sia fondata metafisicamente e le credenze variano a seconda del fantasma di civilizzazione proposto. Ogni ideologia religiosa o meno se ne alimenta abbondantemente.
È interessante notare come per esempio nel caso della filosofia Tao, non sia possibile descrivere cosa sia esattamente Tao, dato che risente della relazione dell’umano nell’immediatezza non organizzata discorsivamente con l’intorno, e dunque si possa solo affermare di stare nel Tao in modo poetico, artistico diremmo oggi, più esattamente ciò che entra in relazione con l’umano a noi che siamo dotati di parola sia dato cantarlo, danzarlo… Ma dato che Tao ha molti significati differenti fra i quali anche il niente, resta indefinibile. Si può solo stare nel Tao, così come con tutto l’ambiente intorno a noi senza rappresentazione. E qui i fantasmi non hanno alloggio, perché la parola non ha bisogno di parlare di se stessa.