L’alimentazione. Materia e spirito – di Gabriella Landini

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Copertina©Francesco Muscente
 

©Renato Trusso

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Alimentazione è un termine a cui nell’immediatezza associamo significati legati alla nutrizione e al cibo e varia a seconda delle classificazioni scientifiche, sia che si parli  dell’organismo umano, dei lombrichi, delle piante. E se questa attribuzione è senza dubbio corretta è pur vero che non è esaustiva del termine. L’alimentazione che è energia, forza, che riceviamo e che diamo, è una parola che ha vastissime implicazioni, ma siamo così avvezzi a ragionare secondo principi biologistici  che l’energetistmo, l’idea di benessere, di salutismo, di automazione della macchina, imperversano su ogni altra riflessione di carattere più ampio e dividendo in due ambiti netti materia e spirito. La corretta alimentazione, lo spirito e la carne, la materia e lo spirito, sono elementi costitutivi del vivere eppure sempre trattati come separati, frammenti di sapere, quasi che  la materia fosse oggettivizzabile, lo spirito un alcunché di fantasmatico, l’alimentazione una dieta da seguire che regolamenta entrambi e si metaforizza in mille sfumature differenti e  sempre e comunque inafferrabili. Il nutrimento dell’anima, il nutrimento del corpo. E di volta in volta  a seconda delle credenze si avvicendano il dominio della materia sullo spirito, dello spirito sulla materia, dell’uno sul due o sul molteplice, dell’inventato, a noi supposto noto, sull’ignoto, nel tentativo sempre fallimentare di ridurre una varietà differenziata e irriducibile a un principio unificante e culturalmente considerato riconducibile a uno standard universalmente condiviso. Dal digiuno ascetico e purificante, alla scorpacciata da Re Sole (anch’esso ambivalente fra elogio dell’abbondanza e ricchezza a vizio smodato), alle virtù del sadu, alla santificazione e alla mortificazione della carne, all’esaltazione dell’ebbrezza, l’alimentazione è un ambito nel quale il cibo gioca un ruolo da scacco matto intorno alla qualità del nutrimento, e dunque della qualità del vivere nella sua interezza. Il corpo materia, il corpo spirito,  sono indivisibili nella parola. Nella materia del dire avviene per forza della parola la divisione, per udire, per intendere quanto nel silenzio suona, ma non è preesistente all’atto di stesso parola. Diversamente da come si è soliti credere non parliamo come mangiamo, ma bensì mangiamo come parliamo. Integrità e degradazione sono categorie culturali che divengono stili di vita, ma non obbediscono a nessun fatalismo  a meno che il fatalismo stesso non sia il modo in cui si lascia perdere e si manda in malora la cultura medesima.   L’alimentazione, il cibo, il nutrimento stanno nella parola, stanno nella lingua, nella cultura che quella parola nutre e alimenta. La sua emanazione più sapiente sta nell’ascolto di ciò che chiama la parola al suo dire, al suo canto. Noi attori- autori, maschere,  di ciò che mai sarà in nostro possesso in termini di spazio tempo e sue definizioni. Ascoltiamo il sasso, l’onda che in noi è parola. Incommensurabili le forze  delle combinazioni della luce, del calore, del suono, per noi voce. Quando un artista nella beanza delle sue congerie produce un’opera integra spirito e materia dimentico di ogni pretesa di dominio; nell’atto vince l’imperscrutabile di una convocazione da e con altro che altro rimane. Simbolo e lettera: l’avvio di un racconto che attinge alla memoria. Ispirazione, ancora lo spirito al suo apparire phanes-parola. Come segmentare il confine tra natura e parola, se non tracciando solchi e fondamenta, ergendo muri che tentano di imbrigliare nella griglia circoscritta della conoscenza ogni visuale del cielo, tentando di fare prevaricare quella denominata civilizzazione sulla cultura. Le macchine ci hanno reso, secondo i nostri canoni, più civilizzati, ma il nesso con la cultura può restare inesistente e indipendente. La robotizzazione ha prodotto una sua cultura metacodificata e elitaria nonostante la popolarità dei prodotti? Sarebbe come dire che l’invenzione del cannone ha indotto la gente a leggere Dante, Shakespeare o Rabelais a ogni piè sospinto. Così non è stato. I due aspetti non coincidono e non si verificano in simultaneità.  Ragione questa che induce  a ritenere indispensabile salvaguardare  la specificità delle lingue  e delle culture perché esse sono qualità del vivere, primato dell’humanitas e valore supremo da considerare con cura.  Alimentazione quale affermazione della differenza a favore dell’internazionalizzazione anziché della colonizzazione.

Non a caso, la cucina, argomento alla moda, varia da cultura a cultura con il variare delle lingue e con la cultura  che quelle lingue producono in accordo con l’ambiente nelle quali fioriscono.   Le vibrazioni di quella che noi chiamiamo ambito della materia, la natura, entrano nella parola. E per noi, che dalla parola siamo pervasi, dalla parola non possiamo prescindere. Ciò che nella parola si ascolta e giunge al dire, al fare al suo scriversi nella memoria è alimento, energia, potenza scevra da ogni ideologia intorno al potere. Il potere è negazione della potenza, la quale è in ogni dove, ma non in un punto preciso dell’universo. La sua fonte inesauribile attiene allo spirito, ma non lo rappresenta.

La mitologia della materia come dimensione naturale ne fa una metafisica della materia scissa dalla parola, dalla lingua, dalla cultura, come se la parola fosse in grado di impadronirsene per mezzo di  definizioni e classificazioni. La materia è una dimensione della parola, la materia della parola, spirito, spirito nella parola. Alimentazione, ricchezza di materia e spirito, qualità, in ciascun aspetto della vita fin nell’infinitesimo dettaglio di una tavola imbandita per un banchetto conviviale che emana amore per ciò che di fa.

©Renato Trusso

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