Il giorno che Tim ci ha regalato i canguri – di Francesco Muscente&Mariangela Venezia

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Uluru, outback

Uluru, outback

Da qualche parte, nell’outback

Non riusciamo a smettere di camminare. Più le distanze si allungano più i nostri piedi chiedono terra, polvere, sibilo di spinnifex e soffio di vento. Ci avevano detto che Uluru è una roccia, scopriamo che Uluru è la vita. Indietreggiamo, sopraffatti dalla sua energia, impreparati alla luce abbagliante, come di stella che esplode. Ci avviciniamo piano, parliamo sottovoce, il deserto trabocca di presenze. La roccia ci ascolta, venite, ci dice piano e noi avanziamo in punta di piedi per paura di ferire la terra, che pulsa di vita sotto di noi. La roccia respira, come un enorme elefante sdraiato al sole, si tinge a tratti di nero, a tratti di rosso scarlatto, la vedo abbassarsi e alzarsi al suono dell’aria. Impone il silenzio e dentro è tutto un tamburo. Il mio corpo vibra di energia, mi viene da danzare, saltellando tra gli arbusti e le pietre, mi viene da battere i piedi per terra e sollevare milioni di granelli di polvere, mi viene da respirare l’enorme cielo sopra di noi e le nuvole e gli uccelli.
Non la tocchiamo. Aspettiamo che il tramonto giochi con lei, immobili, guardiamo ridendo le nostre facce gialle di crepuscolo e sappiamo che ci sta parlando. A te cosa dice? A me dice vita. E a te? A me dice amore. Vorrei tanto vedere un canguro, stringi forte gli occhi come un bambino che esprime un desiderio, il cielo è pieno di emu, la terra è piena di cavalli, di cani, di lepri e di opossum. Il canguro non c’è, si nasconde in fondo al bush, forse ci sta guardando da lontano.
Vibriamo. Restiamo qui, insieme alla roccia. Ascoltiamo il canto millenario della terra. Lei ci segue, anche se ci allontaniamo, ci manca infinitamente se il sentiero devia altrove, ci toglie la paura, ci apre le viscere. Gronda storie in ogni crepa, sovrasta lo spazio infinito, il punto da cui tutto parte, a cui tutto torna.
Incontriamo un uomo, nero e bianco di notti stellate. Un uomo blu, con la pelle di deserto e le gambe di chi ha camminato per sempre, tracciando rotte invisibili. Ci hanno detto che ci ridavano la nostra terra, io ci ho creduto, ho stretto mani e alleanze. Invece sono profugo, nel luogo da cui provengo. Non sono un uccello, come farò a volare fino a Dio? Come farà il mio spirito a trovare le ali? E se arriverò lassù, come farà Dio a sapere chi sono? Come farà a riconoscermi, se non posso raccontare? Senza la mia terra non posso raccontare. Come faranno i miei figli, se non posso raccontare? Come faranno a proseguire il cammino, senza un racconto? Non sono niente se non ho il mio racconto, non sono niente se non ho la mia terra.
It’s a long story, my friends. Ho cinquant’anni, credo. Nel 1895 ho creduto a una bugia. Adesso sorrido su un opuscolo e mi chiedo come farò, come faremo. Ci hanno portato via le storie, ci hanno portato via la vita. La roccia ti parla ancora? La sua mano ci stringe forte.
E’ un’alba celeste, viaggiamo di immenso silenzio, voglio vedere un canguro, i tuoi occhi ancora si stringono, solo noi nello spazio senza tracce, mentre sorge un sole che inonda. I canguri sono schivi, forse vedremo un piccolo wallaby, l’outback disperde e confonde, la luce crea forme indistinte. E invece sorridi. Eccoli, sono tre. Ci aspettano, ci guardano, allungano il muso curiosi. L’uomo blu ci ha fatto un regalo, ha sognato un sogno perché tu potessi vedere. Ti avvicini, piano e loro non scappano. Odoriamo della stessa terra.

Monti Kata Tjuta

Monti Kata Tjuta

Nella stagione secca si può andare ovunque. I fiumi sono torrenti, i serpenti dal freddo si nascondono sotto le rocce e il caldo avvolge e non soffoca. La brezza indica la strada. Le forme ondulate sono invitanti, ci addentriamo illuminati di luce perfetta. Giochiamo con i piccoli rettili color della polvere, saltelliamo sulle rocce lisce e lucenti come bottoni, annusiamo i fiori viola e gialli. Tutto è cosi sacro che a stento lo sfioriamo, lo sguardo prende in prestito, l’anima è paga del sentire, non portiamo via nulla a questo cosmo generoso, ci abitiamo per un attimo d’estasi per poi lasciarlo intatto. La strada ci provoca di colori, riflettiamo nei rivoli facce di paradiso, ci arrampichiamo, rotoliamo, ci sdraiamo all’ombra. Le gole si districano ai piedi della montagna, grosse arterie si diramano in vene verde smeraldo, attraversiamo le radure, indoviniamo le forme delle rocce e scopriamo i frutti rotondi di alberi immaginari. Proseguiamo, saliamo ancora un po’, ti fermi a catturare un’immagine, io a respirare un odore. Lo spazio è cosi immenso che avanziamo senza tempo, si aggiungono pietre al sentiero e noi le seguiamo, non sappiamo niente di dove conduce, siamo soli io e te in questa pienezza, non scorgiamo il limite, stiamo, in accordo con l’istante. Scalando l’ultimo picco sotto di noi si apre una valle, ci fermiamo un attimo a godere l’infinito. Possiamo ancora salire.
Alziamo gli occhi, attratti da un verso, gli uccelli, finora, sono stati in silenzio. Nel cielo di vetro un corvo solitario ci lancia addosso occhi di ferro e volteggiando nell’aria fa un cerchio e vola nella direzione opposta. Tornate indietro, gracchia, tornate indietro. Sta arrivando il buio, non dovete andare oltre. Ascoltiamo il suo richiamo, messaggero del sacro che ci accoglie, non è per noi che si apre come uno scrigno la valle d’oro, non è sfidando la natura che sentiremo la pienezza del suo dono, ma ascoltandone umilmente i desideri.
Siamo già altrove, la montagna al di là della valle è altra da noi, restare pienamente in essa vuol dire lasciarla inviolata.

Fonte del sogno del serpente

Fonte del sogno del serpente

Magnetic Island

Mamma koala si abbandona pigramente su un ramo robusto, satolla di eucalipti e brezza del mare, muove le zampe al rallentatore, distinguiamo gli artigli che a uno a uno afferrano la corteccia. A tratti sembra svegliarsi da un sonno profondissimo, si guarda intorno col muso rotondo come incuriosita da un suono, dalla vibrazione di una foglia. Macché, la testa ricade da un lato, si raggiusta un attimo e richiude gli occhi. Il cucciolo sta arrampicato sulla schiena, le zampe nelle orecchie del koala adulto, scivola a testa in giù, si rialza, ricade, si rotola, si riposiziona, afferra un rametto con la zampa e lo fa dondolare. Giocate con me.
Sotto l’enorme eucalipto c’è una grossa roccia liscia. Ci siamo arrampicati. Sotto di noi un oceano danzante e una foresta di eucalipti odorosi, sopra di noi due animali bicolore che si intrecciano e fanno acrobazie su rami fin troppo sottili. Proviamo una gioia infinita davanti a questo miracolo, tratteniamo il respiro in silenzio, il cuore si spalanca. Non osiamo toccare la pelliccia morbida e luccicante, non osiamo muoverci, parlare, scattare, filmare, ridere, chiamarli, stiamo sotto l’eucalipto ammirandoli come frutti maturi, non desideriamo afferrarli, comprenderli, accarezzarli e giochiamo a guardarli giocare, ospiti felici di questo lembo di infanzia.

Magnetic Island, koala

Magnetic Island, koala

Si potranno raccogliere le conchiglie di questa sabbia innevata? Esitiamo. Camminiamo lentamente sulla spiaggia, l’oceano borbotta e sbuffa spuma e gabbiani, i granchi hanno costruito un universo inverso di fiori e arabeschi tra cui saltelliamo. Intravedo gusci rosa incrostati di coralli, case abbandonate dai paguri, possiamo chiedere alla terra se ce li regala? Mi avvicino di più per vedere le sfumature di giallo, allungo la mano, ne afferro una per lasciarla subito cadere. Se portando via un granello tutto si sgretolasse? Se la meraviglia del sacro svanisse togliendo un tassello? Se il mare piangesse le sue figlie e morissero di tristezza i pesci e gli uccelli? Un cane nero ti viene incontro e ti lecca la faccia mentre io desiderosa e incerta guardo di soppiatto il mio tesoro proibito.
Are you looking for shells, my friends?
Alzo lo sguardo e dietro una mano tesa e colma di meraviglie mi sorride una voce, come l’eco di un vento. Prendile, prendi le mie conchiglie che arrivano dal fondo del mare, sono per te. Il cane ti gira intorno fino a farti cadere e ridi mentre guardo la mano e la faccia e poi di nuovo la mano. Tutte diverse, alcune lisce, altre di rocce sommerse, minuscole, grandi, rotonde e a forma di piccolo cono. Ti ho vista camminare a capo chino sulla sabbia, io e il cane abbiamo chiesto all’oceano se potevamo farvi un regalo e l’oceano ha risposto di si, il cane scodinzola di gioia e il mare ci fa un inchino con mille onde leggere.
L’armonia ci viene incontro e ci cade tra le braccia, noi due apparteniamo a questo incanto sterminato, sentiamo la vibrazione di un granello di sabbia e il canto delle balene che ci salutano con la coda. Sentiamo gli abissi e le molecole, la sabbia che suona e gli ultrasuoni dei pipistrelli. Amore indissolubile e sacro che tutto connette.

Valle del vento

Valle del vento