Jam Session. Il Ritmo/La libertà di fare- di Gabriella Landini

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Canta poema, all’annuncio delle acque l’imminenza del tema,

Canta poema, al calpestio delle acque l’uscita del tema:

Un’alta licenza ai fianchi delle Vergini profetiche,

 

Uno schiudersi d’ovuli d’oro nella notte fulva delle pozze

E il mio letto, o frode!, fatto al limitare d’un sogno simile,

là ove si ravviva e cresce e comincia a girare la rosa oscena del poema.

 

Signore terribile del mio riso, ecco la terra fumante  dal sapore di selvatico,

L’argilla vedova sotto l’acqua vergine, la terra ripulita dal passo degli uomini insonni.

Fiutata davvicino come un vino, non è forse vero che provoca la perdita di memoria?

 

Signore, Signore terribile del mio riso!ecco il rovescio del sogno sulla terra;

Come la risposta delle alte dune ai piani molteplici del mare, ecco, ecco,

Consumata la terra, l’ora nuova nelle sue fasce, e il mio cuore visitato da una strana vocale. (Saint – John Perce, Piogge)

 

 

Camminare nei pascoli, nei boschi tra il canto degli uccelli, ascoltando la voce del cuculo e dei colombi selvatici, camminare ascoltando… La musica, la luce, la poesia, la danza, il canto, il ritmo del cuore, dei passi, delle onde, del vento: il ritmo della vita, il ritmo nella parola.

Riduttiva ogni definizione del ritmo sottoposta al concetto di spazio tempo.

E come sono le stagioni della galassia? Ai tropici? Nel Grande Nord o nel Mediterraneo? Quali sono le stagioni della nostra vita? Ci sono età, periodi, mesi anni e ore in cui il ritmo sia misurabile? A che ritmo bisogna andare in vista di un qualche obiettivo? Ritmo veloce, ritmo lento. C’è forse il ritmo del calendario, della scansione cronologica? Se così fosse non potrebbe esistere la musica, la poesia, non ci sarebbe arte e neppure invenzione, esisterebbe solo la discorsività, la versione dominante che filosoficamente viene nominata logos (non in quanto apparizione della parola, phanes, bensì organizzazione del discorso entro una retorica spazio temporale misurabile e conoscibile.) Nell’ambito della razionalità la concezione del tempo-spazio sistematizza la nostra vita e presume di determinarne il ritmo con scansioni e segmentazioni prescritte in modo ordinato e ordinario: lavoro, riposo, festa, il percorso, il cammino. È il viaggio della vita in tal modo a essere negato, un itinerario privo di sorprese perché altro non diviene che il ripercorrere il presupposto conosciuto di una partitura cartografata del passato. Insintetizzabile il ritmo non ha sito prediletto, primigenio, elettivo, selettivo, né nel tempo né nello spazio, anzi, espone al vuoto di tempo.

Nell’ambito razionale ciascuno ritiene che il tempo passi e che esistano epoche, ere, età, fino a ritenere l’intera vita come “di passaggio”, verso un tempo salvifico, paradisiaco, posto nell’Aldilà. In questa concezione l’intera vita diviene sottoposta al principio di morte e il ritmo del viaggio che essa comporta in ritmi altri, assolutamente negato.

Il ritmo è indice di libertà, di specificità, di differenza, rispetto a qualsiasi concezione temporale sia stata formalizzata razionalmente.

Il ritmo è coglibile procedendo dal silenzio e dall’ascolto, sta nella parola. È fattuale nell’incontro, l’arte lo manifesta, senza questa prerogativa d’ascolto il ritmo sarebbe modulabile aprioristicamente, e quindi ci sarebbe un sistema standardizzato per il viaggio della vita, con visioni, previsioni, veggenze e chiaroveggenze astrali fuorviere di sicure predestinazioni. Un destino esattamente ritmato, senza sorprese, senza sconcerti, senza avventura. Dunque il ritmo sarebbe il ritmo prescritto della marcia, della sequenza canonica del percorso di vita, come scalare la vetta dell’Everest in elicottero.

Il ritmo del discorso è una partitura temporale predefinita, lineare, circolare, riducibile all’unità, alla comunità e all’armonia sociale della comunicazione, con tutte le sue varianti: perdere il ritmo, essere senza ritmo, e via dicendo.

Il ritmo del vento, delle dune di sabbia, delle fronde dell’albero in primavera e in autunno, della terra, delle nuvole, del temporale, del ruggire della pioggia, non risponde alla nozione che noi abbiamo attribuito alle categorie dalla temporalità, dato che il concetto di tempo è nostra invenzione, il rythmos invece c’è e non ha luogo. Il ritmo sta nella parola, nel suono: consonanze, risonanze, dissonanze, sempre il suono. La parola dunque non risponde allo spazio-tempo, nonostante la presunzione di dominarla riducendola a mezzo strumentale della comunicazione. Inadattabile la parola e dunque il ritmo, e l’arte ne esplica l’aspetto fanico, il ritmo di fare arte, come pure dell’opera nella sua invenzione non si attiene a prescrizioni di sorta. Il ritmo indomabile (non è canonico, alternativo, trasgressivo, misurabile, paragonabile, omologabile, uniforme, difforme), giunge dal silenzio all’ascolto e dispone all’incontro per fare altro e altro fare. Ancora e ancora. Credere che il ritmo soggiaccia all’invenzione del tempo determina la relazione obbligata, prescritta o proibita sancita dalla convenzione sociale e dalla sua organizzazione. Nessuna invenzione avviene senza il ritmo che è disposizione nella relazione all’incontro e al fare e dunque alla tessitura del racconto.

Nel ritmo l’andare a tono è simultaneamente l’incontro in altro e con altro e con ciò che sta intorno e trova la sua disposizione, cioè il dispositivo, di progetti e programmi. Il dispositivo del fare libero (che non può mai essere fare ciò che ci pare, che sarebbe ancora una padronanza del ritmo, un fantasma, fra i tanti, del potere sul tempo e sul fare) è invenzione. Dispositivo di forza che si dà nel ritmo, senza il ritmo nulla accade.

Il ritmo è ciò che espone le relazioni di tempo. In una celebre intervista Michael Jackson alla domanda su come si fosse ispirato per comporre Billie Jean, rispose: “Passeggiando, mi arriva un giro di basso (che è lo strumento ritmico per eccellenza del rock), poi mi viene tutto il resto.” Se il ritmo del discorso grammaticale è supposto determinato da una partitura temporale come contenitore, il ritmo sfata questa credenza, scombina la partitura e introduce un tempo altro e l’altro tempo. Come quando gli aborigeni australiani percorrono “la terra che non c’è” (vasti spazi senza sentieri, nell’Outback) tracciando la via del canto, affermando di ascoltare le vibrazioni emanate dall’ambiente che poi intonano, così, a seconda del canto e delle sue variazioni, percorrono una via introvabile sulla cartografia e percorribile solo cantando.