Scrittura di viaggio/Il Pantanal – di Francesco Saba Sardi

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Pantanal

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Il Pantanal del Mato Grosso un altro grande capitolo del Brasile-avventura è costituito dal Pantanal matogrossense che, pur non godendo certo della fama dell’Amazzonia, è un luogo ideale per chi voglia ammirare la fauna selvatica. Nell’Amazzonia gli animali si celano nel densissimo fogliame (per quanto saccheggiata, la grande foresta resta pur sempre un paradiso, e un inferno vegetale), mentre nel Pantanal gli animali sono sott’occhio anche dell’osservatore più distratto. Che cos’è il Pantanal? È una vasta distesa umida nel centro dell’America meridionale grande quanto metà della Francia; circa 230.000 Km quadrati, divisi tra i due stati brasiliani del Mato Grosso e del Mato Grosso Do Sul, e i confinanti Paraguay e Bolivia. Al Brasile ne spettano 130.000 Km quadrati, i restanti 100.000 appartengono ai confinanti. Il Pantanal, nome che significa letteralmente pantano o palude è largamente disabitato e privo di centri urbani. Si presenta come un labirinto di acqua tutta correnti più o meno veloci, che compongono in pratica un enorme delta interno, collegate come sono tra loro a formare laghi, ampi stagni, canali con inserimenti di isole e distese boscose dove la flora è quella tipica della mata (piante relativamente basse e a ciuffi sparsi e come tale diversa dal mato che è invece la foresta pluviale).
Percorrere il Pantanal non è facile. Lo si può fare on i piccoli battelli che svolgono un servizio pubblico (le possibilità dipendono dalle condizioni stagionali, e sono praticamente impossibili quando fiumi e acquitrini sono in piena), con canoe a motore o a remi (percorsi disagevole non di rado pericolosi, con piccoli aerei oppure lungo l’unica strada, che penetra nelle immensità del Pantanal, la Rodovia Transpantaneira che da Cuiabá arriva fino a Porto Jofre sul Rio Piquiri, e che dovrebbe continuare fino a Corumbá. Da ambo i lati della Transpantaneira si stende il Parco Nazionale Transpantaneiro, la terra de ninguam che comprende attualmente solo la porzione del Matogrosso.
In termini geologici la piana alluvionale che è il Pantanal è un bacino sedimentale di origine quaternaria, il residuo di un mare interno, il cosiddetto Xaraés che ha cominciato a prosciugarsi, al pari dell’Amazzonia, circa 65.000.000 di anni fa. Prima mare, poi immenso lago, e ora pianura allagata, il Pantanal si trova a un’altezza di soli 200 m s.l.m ed è chiuso da terre più elevate. La Serra de Maracuju a est, la Serra de Bodoquena a sud, il Chaco boliviano e paraguaiano a ovest, la Serra dos Parecis e la Serra do Roncador a nord. Ne scendono le acque piovane che inondano il Pantanal e formano il Rio Paraguay con i suoi numerosissimi affluenti, che corrono verso sud e poi verso est in direzione dell’Atlantico.
Quello che costituisce il punto ideale di partenza per la visita al Pantanal, la città di Cuiubá, è situato esattamente allo spartiacque tra questo bacino e l’amazzonico: a nord di Cuiubá, le acque defluiscono infatti verso nord e i grandi fiumi del labirinto acqueo amazzonico. Tra ottobre e marzo, vale a dire nella stagione delle piogge, fiumi, ruscelli e acquitrini del Pantanal tracimano, suddividendo le terre emerse in tanti isolotti dove la fauna locale si raduna fittamente e che sono detti Cordilheras. L’acqua raggiunge il livello massimo, tre metri oltre quello della stagione secca (che qui non è mai veramente tale), tra gennaio e febbraio, per decrescere in marzo e restare al nuovo livello per sei mesi, fino alla successiva stagione umida (o, meglio, più umida).
La conseguenza è che l’agricoltura sistematica qui non è possibile mentre lo è l’allevamento del bestiame, e sono resi assai difficili gli insediamenti umani, ciò favorisce la fauna selvatica che è abbondantissima. Le acque alluvionali riempiono il suolo di sostanze nutritizie, e ne approfittano i pesci che sono numerossissimi e spesso enormi: il grasso pacù che sa di maiale, il pintado, il dourado, il barbado e soprattutto i piranhas, qui grandi e di colore scuro, mentre quelli dell’Amazzonia sono più piccoli e hanno i colori dell’arcobaleno. Qui dicono che «piranha nao come homen, mais homen come piranha» (ovvero, non è il piranha che mangia l’uomo, ma l’uomo che mangia il piranha), il che è vero se non si hanno ferite sanguinanti, perché il sangue letteralmente “droga” questi pesci voracissimi.
I pesci sono il nutrimento degli jacaré, i loricati, cioè caimani e alligatori, questi meno aggressivi dei primi. Gli jacaré, si afferma da più parti, correrebbero il rischio dell’estinzione, ma a giudicare dalla frequenza con cui ci si imbatte in questi grandi rettili, non si direbbe proprio. Vero è che, nonostante i divieti, vengono largamente cacciati per ricavarne pelli e per mangiarne le code. Nella stagione secca, quando gli specchi d’acqua si restringono, gli jacarè si accontentano di anfibi e insetti, contendendoli ai numerosissimi falchi pescatori, una delle amene 600 specie di uccelli presenti, dai martin pescatori ai colibrì, dalle aquile ai tucani e ai pappagalli di molte varietà. Particolarmente vistosi i tui tui (così chiamati dal verso che emettono), grossi ciconoidi simili ai marabù, il cui nome scientifico è Jabiru mycteria; abbondanti gli emù, e dolcissimo è il richiamo del quero-quero (voglio-voglio), nome ovviamente onomatopeico.
Iguane, giaguari, ocelotti, coguari, daini, lontre, formichieri giganti e nani, scimmie urlatrici, zebù e soprattutto capibara, contano tra i rappresentanti dell’ordine dei mammiferi, alcuni pericolosi come i felini, per lo più notturni, altri miti come i capibara, il più grosso dei roditori esistenti (arriva ai 65 Kg), con muso da cavia e pelliccia da orso, a suo agio in terra e in acqua dove si ciba di piante acquatiche e, per ragioni ignote, non è mai aggredito dagli jacaré. I quali del resto quasi sempre ignorano anche gli esseri umani, e capita di nuotare in fiumi lungo le cui sponde si allineano, pigri al sole, veri eserciti di questi animali, lenti in terra, ma fulminei in acqua. Rischiosissimo è però bagnarsi nei pressi di uno jacaré isolato: può trattarsi di una femmina che vigila le sue uova o il suo piccolo e che in tal caso è prontissima ad assalire.
Boschi, savane, acque, sono inoltre pieni di serpenti che costituiscono il pericolo massimo del Pantanal. A parte boa e anaconde, assai frequenti sono i rettili velenosi, dai cascavel (serpenti a sonagli) al terrore dei boschi (lachesis muta) lungo fino a quattro metri e dall’indole molto irritabile.
Il Pantanal è un luogo di rumorosi silenzi, se l’espressione è lecita: un silenzio ronzante rotto solo da improvvisi accessi come se l’intero mondo circostante si ridestasse bruscamente da un trasognato letargo, e sono i muggiti degli jacaré, di solito muti, ma che di tanto in tanto arcuano verso il cielo capo e coda ed emettono un suono profondo, rauco, da tamburo stonato; oppure sono le strida delle scimmie urlatrici impegnate in continui quanto innocui litigi, e nottetempo, il brontolio, sommesso e minaccioso dei carnivori a caccia.
Non è facile il Pantanal, checché ne dicano i depliant turistici. La soluzione migliore per raggiungerlo consiste nell’arrivare in aereo a Cuiabá e poi avventurarsi, possibilmente con un fuoristrada, nella Transpantaneira avendo cura che la vettura non abbia incidenti: una caduta nell’acqua può essere fatale data la presenza di ospiti pericolosi. Giunti a Porto Jofre si possono fare percorsi in battello durante la stagione secca o in canoa a motore durante quella umida.
Un pericolo per il viaggiatore incauto così come per la fauna, il Pantanal è rappresentato dai contrabbandieri e dai bracconieri, gli uni e gli altri armati e che dispongono persino di piste di atterraggio clandestine; i bracconieri ammazzano milioni di animali all’anno, soprattutto jacaré, scambiandone le pelli con la cocaina che viene dalla Bolivia. Meglio, dunque, non essere troppo curiosi.