Storia naturale – di Renato Massa

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Renato Massa, Africa

Da ragazzo mi affascinavano le scienze della vita, mi parevano l’arena più straordinaria per il gioco, non certo per lo studio tradizionale visto come impegno e fatica, ma ancora di più queste scienze mi affascinavano quando qualche abile divulgatore le presentava come Storia naturale. Credo che questa abile ed efficace definizione risalga addirittura a Plinio e quindi preceda di poco meno di due millenni la scoperta formale dell’evoluzione biologica darwiniana, cioè la formalizzazione di una storicità inerente della vita. Però, per comprendere il senso di questa straordinaria intuizione, bisogna riflettere su due punti importanti: primo, che se è vero che l’evoluzione biologica è stata finalmente compresa e spiegata nei suoi meccanismi da Charles Darwin nel secolo diciannovesimo, tuttavia essa era stata già intuita nelle sue grandi linee da poeti e filosofi di un lontano passato, per citarne uno per tutti Lucrezio che tentò anche di descriverne un ipotetico svolgimento nel suo De rerum natura; secondo, che oltre alla grande storia della vita sulla Terra, ci sono anche miriadi di storie individuali, voglio dire non solo le storie delle specie che popolano o popolarono in passato il nostro pianeta, ma proprio quelle di ciascuno dei tanti individui che ne compongono le popolazioni, e non solo le popolazioni piccole o grandi delle specie più note a noi esseri umani per la loro taglia notevole o per la loro intelligenza simile alla nostra, come delfini, gorilla, lupi, foche, corvi, pappagalli, ma anche quelle di animaletti tanto minuscoli da farci inevitabilmente pensare alla loro totale irrilevanza. Chi mai si potrebbe preoccupare del minuscolo moscerino che ora se ne sta immobile sullo schermo del computer lasciandomi il dubbio che si tratti soltanto di una macchiolina di sporco? Eppure, ognuno di questi minuscoli esseri non soltanto ha una sua storia scientifica, spesso anche affascinante, ricostruibile da documenti magari anche lacunosi, ma incredibilmente è anche titolare di una parallela storia letteraria ed emotiva, storia comunque basata su documenti oggettivi spesso assai intensi e significativi che ci aprono la porta verso un mondo non soltanto interattivo ma anche incredibilmente narrativo, con presunti buoni e cattivi, guardie e ladri, alleati e avversari, prede e predatori, parassiti e ospiti, questi ultimi generalmente con pesanti costi a loro carico.

Il racconto completo della storia di un semplice individuo – poniamo una cavalletta che per qualche tempo consuma erba, fa sentire i suoi suoni e si sposta all’interno di un prato e infine conclude la sua storia in bocca a un ramarro o a un’averla piccola – dovrà necessariamente essere integrato dalla storia evolutiva della specie che ben presto si confonderà con quella del gruppo tassonomico di cui la specie fa parte. Perché le cavallette sono generalmente erbivore e diurne, raramente carnivore, mentre i grilli sono onnivori e notturni? Come si originano le cavallette, i grilli, i ramarri, le averle e tutti gli altri animali e anche le piante che tanto interattive non sembrano a prima vista ma soltanto perché reagiscono più lentamente? Perché si è originata la vita sulla Terra? Ha senso chiedersi se la vita abbia una funzione, addirittura se ogni minuscolo essere vivente abbia un senso e un destino, o ha invece senso pensare che le parole “senso” e “destino” – e insieme con esse, inevitabilmente, quelle di “bene” e di “male” – facciano soltanto parte del folclore di molte popolazioni umane? Insomma, che si tratti soltanto di wishful thinking, per dirla con un’efficace espressione anglosassone intraducibile in parole ma ben comprensibile come concetto anche in italiano.

A queste domande, a mio parere, si può rispondere con semplicità che, se anche l’intelligenza dell’universo dovesse emergere unicamente nel corso dell’evoluzione, se anche la storia fosse una mera interpretazione di una realtà inconoscibile da parte di una particolare specie, tutto ciò non ci libererebbe né dai lacci della storia né dalle pieghe del bene e del male. A ben guardare, il mero racconto di ciò che è stato – ripreso da una ipotetica telecamera capace di viaggiare nel tempo – sarebbe un documento freddo ed enigmatico in confronto con la faticosa ricostruzione delle dinamiche occorse e della relative motivazioni naturalistiche, corredato del giudizio etico di storici e filosofi. L’etica non sarebbe meno necessaria all’uomo e alla storia se anche fosse una mera creazione umana, Hitler rimarrebbe un mostro esecrabile se anche fosse stato un cane della prateria ed, entro certi limiti, persino una formica rossa. Però, l’etica non è una semplice creazione umana, i passeri fanno la coda per bagnarsi a una pozzanghera, i galli forcelli e i manachini evitano di combattere tra loro per guadagnarsi il favore di una femmina e invece organizzano ordinati tornei di esibizione fisica, in ogni società esistono regole che talvolta possono anche apparire incomprensibili o brutali a chi fa parte di altre cerchie ma che generalmente funzionano per minimizzare le sofferenze e le perdite degli individui più vulnerabili. Detto ciò, bisogna tuttavia aggiungere che è vero che la storia è fatta dai vincitori e che molte possibili innovazioni che magari potrebbero comportare conseguenze positive per le generazioni future non passano semplicemente perché non riescono a imporsi. Però, onestamente, se non si impongono resta il ragionevole dubbio che fossero eccessivamente vulnerabili nei confronti degli inevitabili bari (cheaters) che sempre si fanno avanti per sfruttare qualsiasi sistema a proprio vantaggio.

Un esempio di fallimento legato alla presenza di bari potrebbe essere rappresentato dal comunismo che, nelle popolazioni contemporanee della nostra specie, è sostanzialmente fallito, probabilmente a causa degli eccessivi egoismi individuali che, in vario modo, lo rendevano poco efficace e anche poco produttivo. Ha invece funzionato molto bene negli insetti sociali che tuttavia hanno risolto il problema degli egoismi in modo molto drastico, delegando la riproduzione a una sola femmina, eliminando del tutto i maschi salvo che per il brevissimo periodo della riproduzione e assegnando alle femmine sterili – tutte figlie della stessa regina e di uno stesso maschio aploide, dunque super-sorelle con il 75% di geni in comune – compiti determinati in maniera varia ma comunque fissa. Per esempio, tra le termiti e le formiche esistono operaie e soldatesse (tutte sterili) che svolgono un compito fisso e determinato mentre tra le api i diversi compiti necessari per il buon mantenimento e per il rifornimento della colonia vengono svolti sulla base dell’età dell’operaia sterile che quindi, nel corso della sua vita, fa tutto ciò che un’ape potrebbe desiderare di fare e lo fa in modo ordinato e razionale. Impossibile è il nepotismo in una società a riproduzione centralizzata e facilissima la solidarietà familiare in una società in cui l’affinità genetica tra i membri di una colonia è del 75%, dunque superiore a quella di due fratelli (50%) e solo inferiore a quella di due gemelli monozigoti (100%).

Un altro buon esempio di fallimento legato alla scarsa conoscenza della biologia può essere rappresentato dalla crisi economico-finanziaria del mondo occidentale, che è scoppiata e si è man mano complicata nel contesto di una ferma convinzione della maggioranza degli economisti, quelli del cosiddetto Washington consensus: la necessità di un non-intervento dello Stato nella complessa ragnatela dei rapporti economici che si sviluppano in quello che essi definiscono un “libero mercato”, nella ferma convinzione che tale ragnatela sia paragonabile a un ecosistema biologico che infine deve trovare da sé il suo equilibrio senza bisogno di interventi esterni. Questa è la ormai famosa “mano invisibile” di Adam Smith che gli economisti occidentali si sono affannati per molti anni a citare con una insistenza che, nella drammatica fase attuale, mi ricorda ormai la genetica di Lysenko nell’Unione Sovietica del primo ventesimo secolo.

Pur non intendendo di certo negare la validità del confronto tra sistemi economici e sistemi ecologici vorrei tuttavia far notare la mancanza di una reale comprensione della dinamica degli ecosistemi biologici da parte degli economisti cosiddetti neo-liberisti. Infatti, se è vero che gli ecosistemi possono raggiungere uno stato di meta-equilibrio (cioè di equilibrio metastabile, comunque sempre soggetto a essere modificato da occasionali, inevitabili disturbi), è anche vero che tale precario equilibrio può richiedere tempi molto lunghi per essere raggiunto e comunque comporta il sacrificio di un gran numero di popolazioni che semplicemente finiscono per estinguersi non riuscendo a competere efficacemente per una nicchia ecologica nel corso degli avvenimenti storici che si verificano. Un tale fenomeno, in campo economico, è ora sotto gli occhi di tutti nella forma di un migliaio di esercizi commerciali che chiudono ogni settimana in Italia. Chi non lo ha previsto ha costruito soltanto una pseudo-scienza, senza conoscere i necessari fatti di base. Oppure, se lo avesse previsto, cosa si dovrebbe pensare di tali economisti fautori di un darwinismo sociale a scoppio ritardato?

Tuttavia, c’è di più: i moderni ecologi hanno anche accertato che le condizioni all’equilibrio finale non sono in alcun modo prevedibili e dipendono in larga misura dalle condizioni iniziali e dalle vicende storiche al contorno, compresi gli inevitabili e ricorrenti disturbi che non possono essere evitati né previsti in alcun modo.

In effetti, il confronto tra comunità ecologiche e comunità economiche implica il confronto tra popolazioni naturali di organismi viventi e popolazioni di diversi tipi di aziende piccole e grandi, multinazionali etc. In ecologia, come in economia, il risultato finale delle interazioni all’interno di una comunità non è prevedibile nel dettaglio ma ciò che, in linea di massima, può essere previsto è la progressiva scomparsa di un notevole numero di specie che non riescono a trovare un’adeguata nicchia ecologica nelle nuove condizioni. Tale scomparsa può divenire massiccia e drammatica nel caso in cui l’ecosistema venga invaso da una specie aliena a ecologia generalista, un caso che, passando dall’ecologia all’economia, pare fatto su misura per descrivere l’irruzione di multinazionali a vocazione finanziaria in un mercato tradizionalmente suddiviso in piccole nicchie specialistiche occupate da piccole e medie aziende specializzate, destinate a subire l’estinzione, peraltro senza che lo spazio da esse lasciato possa essere adeguatamente riempito dai giganti finanziari che le divorano. Insomma, un gran numero di sofferenze umane si sarebbero potute evitare se soltanto i politici che hanno concesso briglie sciolte ai finanz-capitalisti avessero studiato un po’ di sana biologia in un buon liceo scientifico. Le risorse sono potere e quindi la democrazia – potere del popolo – può unicamente essere realizzata per mezzo di un’equa suddivisione delle risorse.