Una giornata da faraone – di Bruno Rindone


 

Il faraone dormiva e Amon-Ra vegliava su di lui. Cosi’ era scritto dappertutto in quella stanza. Scene di sogno che si incrociavano a scene di realta’. Non c’era differenza tra sonno e veglia per il figlio di Ra, per Ra stesso in terra.

Apri’ gli occhi, ma sorprese lo sguardo ansioso delle guardie che custodivano il suo riposo, pronte a prevenire il desiderio del dio in terra.

Avrebbe voluto essere altrove! Riabbasso’ le palpebre. Voleva silenzio, non fuggi-fuggi generale, inchini fino a toccar terra, sorrisi mielati, timorosi e malevoli,. preghiere.

Anche Amon-Ra, quando dormiva, era lasciato in pace.

Riapri’ gli occhi. Penoso intuire il tremito delle membra dei cortigiani che assistevano al suo risveglio, che cercavano di capire il suo umore, che ansiosamente si chiedevano se sarebbero riusciti a finire vivi quella giornata.

Si scateno’ la solita sarabanda, lo trascinarono quasi giu’ dal letto, lo vestirono, lo rifocillarono. Ognuno cercava di trattenersi accanto al faraone tanto da diventargli o restargli familiari e ben accetti, ma non tanto da minacciare di non reggere alla tremenda tensione nervosa originata dalla sua presenza.

E cosi’ a rotazione tutti coloro che abitavano la Grande Casa l’avrebbero visto, adorato, blandito, amato, odiato, e magari un giorno anche ucciso.

Mangio’ di buon appetito la zuppa di granoturco che Antef aveva preparato. Questo si, lo sapeva, perche’ un giorno, durante la grande inondazione del suo regno, Antef aveva sbagliato. L’assaggiatore era morto, d’arsenico, si seppe, e Antef fu trascinato al cospetto del faraone. Questi era giovane e ardente, gli spezzo’ le gambe e le braccia con un bastone d’oro. Il cuoco gemeva a terra, contorto e disarticolato, lo supplicava di ucciderlo, piangeva, chiedeva perdono ad Amon-Ra, ed egli lo risparmio’.

Seppe chi lo aveva pagato e, poco dopo, dieci sacerdoti di Amon-Ra, denudati, venivano massacrati a frustate. I loro corpi, ormai irriconoscibili, furono il pasto degli sciacalli e degli avvoltoi, quel giorno. E piu’ di un popolano bevve brodo di ossa…..

Il faraone riceveva oggi una delegazione dal Paese di Amurru. Gli portavano molti doni,  comperavano la sua pace. Oro, argento, schiavi. Non parlo’ con loro, non li vide neanche. I dignitari, non sapeva mai esattamente chi, si incaricavano loro di ricevere i doni, rubandone parte, e di congedare gli ospiti.

Gli schiavi, poi, erano schiavi come gli altri Quelli che non morivano di fatica prima, venivano uccisi per il piacere delle dame di corte. Solo qualcuno era castrato per servire il faraone nel suo harem. I piu’ piacenti. Peccato!

Pian piano, molte clessidre passarono, e giunse la sera. Il sole andava anche lui nel suo giaciglio di lune frementi ed il faraone, suo figlio ed incarnazione, lo seguiva.

Ai suoi passi gli eunuchi e le schiave fuggivano, perche’ l’amore del dio era abbagliante , e anche perche’ chi l’avesse visto sarebbe stato ucciso.

Una vecchia nutrice aveva un giorno origliato dietro un tendaggio mentre Nefer urlava di piacere, di dolore, di terrore. L’aveva vista morire strangolata, ma qualcuno l’aveva scoperta. Mori’ avvelenata dopo due giorni, portando con se’ il segreto delle parole del faraone, dette nell’abbandono sanguinario, quando le mani erano ancora strette intorno al collo di Nefer.

Ma le donne del faraone non fuggivano al vederlo. Le essenze animali ed i filtri le eccitavano. I sensi scottanti non distinguevano piu’ tra la vita e la morte. Quando il faraone avrebbe scelta tra loro quella che lo avrebbe saziato le altre, messe da parte le gelosie e le rivalita’, si sarebbero sfogate tra loro, si sarebbero torturate a vicenda, e esaltate.

Nascevano i giochi piu’ feroci, allora, e volte il figlio di Amon, seduto sotto un baldacchino, immobile, aveva assistito.

Il piacere del faraone era sacro, dicevano i sacerdoti, mentre incameravano al tempio i doni che accompagnavano le figlie dei dignitari alla Grande Casa.

Quel giorno, egli scelse una schiava di nome Amen e la prese. Ricordava poi a stento che, sfinito e drogato, i servi lo mettessero a letto.

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Avrebbe voluto essere altrove! Apri’ gli occhi e gli furono addosso in dieci…………………………

©Bruno Rindone

Bruno Rindone, è Professore Ordinario presso la Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, e studioso  di culture e lingue mediorientali.