Amore- di Renato Massa

AMORE

 

“Amore” è una parola dai significati talmente molteplici, sia di per se stessa, sia a seconda dei gusti personali di chi la pronuncia, da risultare decisamente ambigua nel linguaggio comune. In un classico saggio del 1960, lo scrittore Clive Staples Lewis (1898-1963) ha distinto, descritto e discusso quattro diverse categorie di questo sentimento: affetto, amicizia, eros, carità. Questa ultima categoria, però, molto cara al Lewis che era un cattolico impegnato, non risulta logicamente omogenea con le altre tre, poiché descrive un’azione piuttosto che un sentimento e pertanto a me personalmente appare preferibile sostituirla con la categoria “compassione” che, in effetti, è il sentimento che sta alla base dell’azione della carità. Così anche, per ragioni di chiarezza e di generalità, ci converrà sostituire la parola “affetto” con la più generale “socialità”, “amicizia” con “solidarietà”, “eros” con “gamia”. Fatte queste utili precisazioni e generalizzazioni, la trattazione di Lewis risulta decisamente pertinente, purché si tenga a mente che, nella vita reale, ogni relazione esistente tra due diversi esseri viventi non è mai classificabile puramente e semplicemente in una sola delle quattro diverse categorie ma ne è quasi sempre una miscela con diverse dosi di ciascuna. Questa situazione non è esclusiva delle relazioni umane ma si origina ben prima nella scala biologica, potremmo dire con l’origine stessa della vita.

 

Iniziamo un probabile schema delle origini dell’amore: due cellule, ciascuna delle quali contiene l’informazione per la propria stessa costruzione in copia unica, si trovano esposte al pericolo di una disastrosa perdita di informazione genetica a causa dell’azione dei raggi ultravioletti, onnipresenti in un mondo ancora privo di ossigeno e dunque anche di ozono. Le due cellule tanto vulnerabili stringono una efficace alleanza fondendosi (gamia) e quindi raddoppiando e in tal modo ponendo in sicurezza l’informazione genetica relativa alla loro stessa costruzione. La gamia è evidentemente l’espressione per eccellenza della sessualità che dunque è una forza che nasce per conservare l’esistente, contro i pericoli di una totale destabilizzazione fisico-chimica. Nell’atto primigenio della sessualità si può dunque già riconoscere un contenuto intrinseco, seppure ancora inconscio, di socialità e solidarietà – conservazione dei piani di costruzione dei due protagonisti che chiameremo gameti – elementi che, in fin dei conti, rappresentano esattamente ciò che distingue la gamia dalla sessualità pura e semplice, in definitiva un embrione di ciò che chiamiamo “amore”.

Ciò che tuttavia è da sottolineare è il carattere inizialmente casuale di tale alleanza. In realtà, la cellula più grossa, inizialmente, non aveva alcuna intenzione di mettere in atto un’alleanza ma stava solamente tentando di mangiare quella più piccola, come normalmente fanno gli esseri unicellulari più grossi quando ne trovano di abbastanza piccoli da potere essere inghiottiti. Però, quando la differenza di taglia non è poi tanto notevole, allora l’aggressione si può concludere con uno stallo e con un successivo, inevitabile inizio di convivenza: la forza distruttrice cannibalesca è stata domata, l’amore ha vinto la sua battaglia rendendosi responsabile della costruzione di una entità nuova, più stabile delle due precedenti, derivante dall’unione dei due gameti, entità che chiameremo zigote.

 

Ci si può chiedere, ora, che razza di legame possa esistere tra un evento primigenio e ipotetico come quello descritto e i complessi rapporti socio-sessuali degli individui pluricellulari. Facciamo allora un salto di alcuni miliardi di anni e piombiamo nel mondo degli esseri dotati di gameti differenziati in macro e micro tipi, cioè uova e spermatozoi. Tutto il processo della gamia si è enormemente complicato, essendosi legato a doppio filo a quello della riproduzione: i gameti vengono prodotti in due tipologie ben distinte in individui diversi, per dimezzamento del patrimonio cromosomico, e si uniscono due a due per ricostituire il patrimonio originario in una serie alquanto modificata (a causa della meiosi e del crossing-over) di zigoti. In tal modo, alla conservazione del piano individuale di costruzione si accompagna il suo rinnovamento, alla natura conservatrice dell’amore si accompagna una sua nuova natura riformatrice che si esprime al momento del dimezzamento del patrimonio genetico, nella creazione di nuovi gameti.

C’è però anche un nuovo fattore che entra in gioco. Decisamente notevoli sono le conseguenze della evoluzione di due diversi tipi di gameti, micro e macro: da un lato le grosse uova sono prodotte in piccolo numero, non sono in grado di muoversi e hanno un notevole valore energetico; dall’altro, i piccoli spermatozoi sono prodotti in numeri sterminati, si muovono benissimo e valgono pochissimo. Ne consegue che gli individui portatori di spermatozoi, in linea di massima, hanno tutto l’interesse a utilizzarli nel modo più intenso e più vasto possibile mentre gli individui portatori di uova hanno interesse a utilizzarle con la massima parsimonia, scegliendo accuratamente il partner con il quale mettere in atto la gamia. In effetti, tra gli animali e le piante, vi sono molti esempi di un tale uso dei gameti maschili e femminili, con maschi “ardenti” e femmine “ritrose”, come da copione classico.

Rivalutazione dei concetti del passato? Soltanto in piccola parte. Tutto sarebbe scontato e monotono se non entrassero in ballo anche gli altri fattori di Lewis, socialità, solidarietà, compassione. In quale misura questi possano influenzare gli effettivi rapporti finali tra maschi e femmine dipende dalla ecologia delle varie specie viventi che sono molto diverse tra loro. In una classe come quella dei mammiferi, in cui la femmina si addossa gli oneri della gravidanza e dell’allattamento, è chiaro che il potere pende dalla parte del maschio e il risultato è che nella maggioranza delle specie il normale sistema socio-sessuale è quello poliginico, rara è la monogamia e ancora più rara la poliandria. Negli uccelli, invece, la situazione è ben diversa: dopo la deposizione delle uova, i due partner sono praticamente equivalenti e quindi sono aperte tutte le possibilità. Il risultato più comune è la monogamia, assoluta dal punto di vista sociale, relativa del punto di vista genetico, cioè attenuata da episodi di “copulazione extra-coppia” che noi esseri umani potremmo definire, per la verità alquanto impropriamente, come “tradimenti”. Non mancano, tuttavia, variazioni sul tema, legate alle condizioni ecologiche delle varie specie. Citerò, a mo’ di esempio, un paio di casi estremi: i pinguini imperatori, esempio di monogamia stretta, e gli uccelli giardinieri della Nuova Guinea, esempio di poliginia da dominanza del maschio.

Incominciamo con i pinguini: nell’ambiente estremo dell’Antartide in cui questi singolari uccelli sono impegnati a riprodursi, la temperatura esterna al momento dell’incubazione raggiunge facilmente –40°C mentre quella dell’uovo deve essere mantenuta a +40°C. Per coprire il gradiente di ben 80°C, il genitore tiene costantemente l’uovo su una zampa e quest’ultima immersa nel fitto piumaggio. In questa posizione non ha alcuna possibilità di andare a cercare cibo, azione che richiederebbe che si tuffasse nell’oceano, e pertanto è totalmente dipendente dalla collaborazione del partner con il quale vengono organizzati lunghi turni di incubazione nei quali chi cova digiuna mentre chi è libero si rimpinza di cibo per potere sopportare il lungo digiuno che lo attende quando verrà il suo turno. Ogni turno dura alcune settimane e, dopo la nascita del pulcino, c’è anche il problema di alimentare quest’ultimo evitando che si congeli o che finisca in pasto ai pericolosi stercorari, pirateschi uccelli della famiglia dei gabbiani che continuano a battere i territori delle colonie dei pinguini sperando di rubare uova o piccoli.

Altri casi di monogamia stretta, a prima vista meno drammatici ma in realtà altrettanto stringenti, sono quelli degli albatri, delle averle di macchia africane e di alcune specie di pappagalli. In tutte queste specie, il successo di cova è garantito unicamente dalla solidarietà e dalla totale dedizione reciproca dei due partner che non si sognano neppure deviazioni dalle regole che l’evoluzione ha loro imposto per sopravvivere e per allevare con successo la propria prole.

Passiamo ora a presentare gli uccelli giardinieri, una singolare, intera famiglia di uccelli canori tropicali diffusi in Australia e in Nuova Guinea con un totale di diciotto specie abbastanza vicine agli uccelli del Paradiso. A mo’ di esempio possiamo scegliere l’uccello di raso australiano che è abbastanza comune e diffuso in un’ampia fascia costiera del sud-est australiano.

Il maschio di questa specie costruisce una speciale capanna di frasche e la adorna con oggetti colorati di origine sia naturale sia artificiale per attirare le femmine con la magnificenza delle sue costruzioni. Quando una femmina si avvicina, il maschio la invita nella capanna e qui procede all’accoppiamento cui non seguirà alcuna relazione, né lunga né breve. Terminato il rito della gamia, ognuno dei due occasionali partner riprenderà la propria strada, il maschio continuando a riparare, adornare e migliorare l’aspetto della capanna per attirare altre femmine, la femmina costruendo un nido, deponendo e covando un certo numero di uova e infine allevando i pulcini che nascono inetti e bisognosi di tutto, il procedimento risultando possibile grazie al clima tropicale che le consente di allontanarsi brevemente dalle uova e dai pulcini ancora nudi, nonché di trovare cibo in abbondanza in breve tempo. Sistemi analoghi si riscontrano negli uccelli del Paradiso, nei manachini del Sudamerica, in alcuni Galliformi eurasiatici e americani e anche in alcuni mammiferi ungulati. In tutti questi casi, la componente amorosa che prevale è evidentemente l’eros, cui si accompagna un breve momento sociale, teso unicamente a rassicurare la femmina e convincerla ad accettare l’accoppiamento. Altrettanto evidente risulta la complessità delle motivazioni che animano le specie monogame e in particolare i maschi che cooperano nell’allevamento dei piccoli nati.

 

In conclusione, l’amore come sentimento che spinge a stare insieme e ad essere solidali, non è una specialità umana ma si origina molto prima nella storia evolutiva. Inoltre, la natura pare anche volerci comunicare che dal puro e semplice eros fino alla sua perfetta combinazione con socialità, solidarietà e compassione, esistono infinite combinazioni possibili con dosi diverse dei diversi componenti, tutte da comprendere e tutte da rispettare, anche se non tutte opportune da praticare sempre e ovunque. Agli inevitabili e imperterriti negazionisti che disprezzano gli animali non umani si potrebbero offrire esempi in gran numero, capaci non già di dimostrare ma semplicemente di mostrare la realtà dell’amore inteso come socialità e solidarietà in numerose specie non umane. Osservate le carezze e le continue attenzioni reciproche di una coppia di pappagalli e considerate magari che questi fanno sesso solo per circa una settimana ogni anno, e ne rimarrete stupiti. Non sarebbe il caso, però, di cercare di imitarli perché per noi scimmie, pelose o nude, le cose stanno in modo piuttosto diverso. Per noi Primati il sesso ha un significato sociale oltre che riproduttivo, già da molto tempo e a partire da specie relativamente primitive del nostro ordine. Questo, però, è un discorso troppo lungo e troppo complesso per poterlo affrontare in questa sede, ci basti ricordare che noi non siamo uccelli ma mammiferi e, in quanto tali, tendiamo a praticare il sesso  senza mire riproduttive e anche a essere sessisti.