Kitsch/ Il divino orpello- di Gabriella Landini

 
Fotografia di Stefania Pollastri

Il Kitsch così come viene rappresentato nella nostra cultura, esibito e fieramente ostentato, negato e discretamente praticato nella sfera strettamente privata della propria dimora, riguarderebbe quella mirabile definizione  denominata “il cattivo gusto” posto in opposizione allo stile dedito al bello, all’eleganza, al raffinato elogiato come buon gusto.  La divisione fra buono e cattivo gusto resta un confine suscettibile di cambiamenti a seconda del costume, della cultura e della moda di un’epoca. Il principio giudicante del Kitsch si avvale dell’antichissima divisione fra bene e male. Senza dubbio il cattivo e il buon gusto appartengono a una classificazione razionale dei rituali sociali  che prescrivono e vietano i comportamenti ammessi e condivisi da quelli vietati e disdicevoli. Il Kitsch è regolato dalla moda, e con questo termine si intende fare riferimento  a ciò che la moda in effetti è oltre quell’aspetto effimero a cui  di solito superficialmente facciamo riferimento, per moda si intende  quel mos che riteniamo cultura condivisa, comunitaria assolutamente partecipata in una società. Nessuno accetterebbe senza imbarazzo di essere giudicato o definito nei propri comportamenti kitsch, perché un retrogusto offensivo colpirebbe i nostri sentimenti. Nessuno ammetterebbe di avere un altarino di orpelli celato in cassettiere e comodini fra bomboniere, vecchie fotografie, bigiotteria e giocattoli. Ciascuno desidera fermamente convincersi che quell’accozzaglia amorevole di carabattole iperdecorate non appartengano al kitsch, ma semplicemente alle abitudini del quotidiano.

Il capitalismo degli oggetti, il suo feticismo, il suo erompere nella nostra vita come strumento imprescindibile di scambio, condivisione e comunicazione fa parte integrante di quel fenomeno definito kitsch, ma che rigettiamo sdegnati ogniqualvolta l’orpello vezzeggiato ci interpella sul nostro struggente desiderio di farne incetta e accumulo. Anzi, difficilmente ammettiamo che ciascuno di noi prolifera e sguazza nel kitsch e tanto più una società  si considera civile e opulenta, tanto più il kitsch ne diviene elemento irrinunciabile per la sua stessa esistenza.  Ciascuno di noi vive a contatto con la propria esperienza del kitsch, inconsapevolmente beato, sperando che pacchiano sia sempre l’altro, così come riteniamo razzista o pieno di pregiudizi sempre l’altro.

Difficilmente un artista potrebbe essere definito kitsch, anche qualora impiegasse la proliferazione magico-feticistica degli oggetti per farne degli improbabili simulacri del  suo mirabolante scongiuro. Perché uno scongiuro funzioni occorre sia condiviso a livello simbolico, e l’artista nella sua particolarità e singolarità farebbe di uno scongiuro un rito debordante con un esito troppo folle e perturbante per essere assimilabile a significati comunitari come lo è quel fenomeno chiamato  kitsch.

Un libro di storia per le scuole superiori è un ammontare di imprese pacchiane, con conseguenze tragiche e dolorose per intere nazioni e popoli. Come si potrebbe definire l’era napoleonica un’epoca di sobrietà e buon gusto? La campagna di Russia di Napoleone è stata una smargiassata costata lutti e carestia, ma giammai azzarderemmo dichiarare che sortite avventate di tale efferatezza possano essere considerati atteggiamenti kitsch, al massimo possiamo dire che gli abiti, così come i mobili di una determinata epoca oggi nelle nostre abitazioni farebbero nell’insieme un effetto kitsch. Magari un solo mobiletto antico invece fa molto chic, e ne facciamo mostra con orgoglio.  Risulta kitsch ciò che è ritenuto decadente o decaduto, perché appartiene al passato, e solo se risorto-ripescato e rinnovato non sarà più annoverato tra le cafonate stilistiche da cui prendere le distanze. Il moderno è l’attimo temporale prima del precipizio nel kitsch.

Lady Gaga  è uno dei tanti esempi di gioco di maschere strumentalizzando il fattore kitsch per costruire un personaggio. L’eccesso, il bizzarro, l’incongruente accozzaglia di parrucche e ciglia chilometriche ne fanno un’apparizione desueta e inedita in costante trasformazione della propria sembianza.

Ma il kitsch si manifesta essenzialmente nella parola. Nella nostra cultura fortemente strutturata secondo una logica discorsiva, con pretese esaustive di causalità racchiuse in elenchi dettagliatissimi di nomi, entità,  definite di volta in volta astratte o concrete, l’enciclopedico straripa di kitsch. Il ritenere la parola stessa un oggetto osservabile, asservibile a una  razionalità  che non lascia margini di scarto, espone la parola, il corpo e la stessa umanità alle roboanti circonvoluzioni della retorica. La retorica in quanto tale è destinata all’ostentazione dell’opulenza, alla promessa di un avvenire radioso; deve persuadere,  essere credibile, introdurre hic et nunc il regno della salvezza.  La retorica è sempre kitsch, ma trapassa in questa classificazione palese quando viene contestata, sovvertita o semplicemente cade per obsolenza  nell’Ancien Régime.

Il principio che regola la pacchianeria risiede nella rappresentazione dell’oggetto. Se ciò di cui facciamo parte come ambiente, che è intorno a noi e che è parte di noi e che siamo soliti definire “ambiente naturale” è di per sé inesauribile  e quindi ingiudicabile per smisura,  il ritenerlo dominabile e riproducibile artificialmente ci conduce all’illusoria  credenza nella facoltà dell’uomo di garantirsi l’immortalità riproducendo da artefice quell’inesauribile perennità che avverte intorno dalla terra, al cielo, ai pianeti lontani. La  produzione degli oggetti ci rende attivamente partecipi in quanto inventori,  di quella “nostalgia malinconica” dell’inesauribile che supera  e abbatte la paura e l’idea stessa della morte, rimanendo un’aspirazione ideale affinché il dominio sussista . L’artificio scongiurante né potrà né dovrà mai realizzarsi, resterà interdetto affinché l’organizzazione del sistema funzioni. Nella nostra cultura razionale l’inesauribile si traduce in abbondanza e carestia, quindi in entità misurabili e quantificabili e in quanto tali distribuibili in vita e morte.

 

Ma in quanto a kitsch non se la passano troppo bene neppure scienziati, filosofi, astronomi o logici matematici immersi in colossali formulazioni colme di calcoli sofisticatissimi che passeranno di moda con l’avvio di una nuova ricerca. Accumulo, accumulo, abbondanza…. Scongiuro della privazione, della miseria, auspicio dell’Età dell’Oro, e con tutte queste definizioni c’è da vivere tranquilli per adesso e per l’aldilà, in eterno, nell’immortalità. Allora viene da chiedersi, un ammasso tale di corbellerie e orpelli che evocano il lusso e la vacuità per propiziare la ricchezza, come si conciliano con arcaiche definizioni di andamenti finanziari di borsa che evocano l’orso e il toro? A secondo dell’orso e del toro le nostre sorti possono subire sgomenti, i nostri destini essere compromessi­–e sono eventi di portata serissima–ma viene da chiedersi come mai siano questi i termini con cui vengono descritti eventi di tale portata? E se fosse un giorno da foche?  Un giorno in borsa in cui prevale l’andamento a foca, che accadrebbe? Tracollo? Euforia stratosferica? Oppure lo smarrimento dei parametri condivisi ci farebbe rinsavire? Anche se fra tori e orsi inserire leoni o foche sarebbe un intervento lodevolmente concettuale,  perlomeno per equità zoologica.  Ecco, dunque come il Kitsch si annida nella nostra cultura fino ad esserne un elemento costitutivo e il buon gusto risultare così l’apice della patacca. Il minimalismo è il colmo del kitsch, per via di sottrazione mostra l’eccesso di pieno di cui dovrebbe purificarsi e vuotarsi.

L’essenziale del kitsch riguarda uno scongiuro? Il kitsch è uno scongiuro culturale che permea l’intero assetto del mondo cosiddetto civilizzato. Da quando cioè si è ritenuto civilizzato. Uno scongiuro per quale scopo?

 

Le immaginazioni del Paradiso terrestre, e le altre concezioni consimili, hanno stretta relazione con il Paese della Cuccagna, o come altrimenti si chiami la terra beata  della perenne abbondanza, dove regna sovrana la pace e la felicità, tipica nelle leggende orali dell’Occidente.  Il Paese della Cuccagna può apparire come una parodia del Paradiso, ma dato che il Paradiso è a sua volta la rappresentazione di un artificio della beatitudine primigenia, quale condizione  originaria che l’uomo avrebbe perduto o abbandonato in seguito  alla caduta o alla cacciata e a cui aspira a ritornare in vita e in morte,  il Paese della Cuccagna meglio si accosta a quello che noi definiamo il kitsch, non che il Paradiso ne sia esente, ma la seriosità dell’argomento  e il suo carattere di soglia fra sacro e profano rende lode solo in parte  alla debordante pantagruelica presenza del kitsch nella Cuccagna, anche  se entrambi traggono ispirazione da uno stresso medesimo desiderio di  oggetti feticcio a cui delegare lo spirito del sogno di felicità e appagamento.

Il Paradiso è considerato più nobile, e più spirituale del Paese della Cuccagna e talvolta la Cuccagna idealizzandosi diviene un Paradiso. I paradisi nelle varie religioni sono dei veri e propri paesi della cuccagna sia terrestri che celesti. Per i greci era l’Età dell’Oro, i Campi Elisi.  La città degli uccelli di Aristofane abbonda di ricchezze e di letizia. Luciano nella Vera Istoria descrive la città dei beati, la quale è tutta d’oro e colma di ogni ricchezza. Abbondano in quelle terre piante esotiche bellissime di ogni qualità che fruttificano incessantemente.

A differenza del Paradiso, il Paese della Cuccagna è narrato in una finzione  maggiormente ingannevole, infatti vi appare l’eccesso, lo spreco,  l’accumulo, il futile,  il caotico irragionevole,  sia che abbia o non abbia  un senso o una funzionalità  dichiarata.

Produrre oggetti e l’oggetto stesso partecipa all’anelito di immortalità tramite una trascendenza stessa dell’oggetto – soggetto. Il soggetto altro non sarebbe che la definizione dell’oggettualizzazione umana.

In cosa l’arte mette in scacco il kitsch? Per anarchia della traduzione del razionale. Un accumulo di significanti vengono stravolti dalla convenzione semantica. Talvolta restando enigmi intraducibili. E l’anarchica insignificanza diviene semplice elemento poetico che lascia ciascuno nell’originaria solitudine dell’ignoranza ingenua e dell’immensità dell’ignoto dove prevale il sentire  senza il conoscere.