Lanterne sul Mekong – di Omar Cerchierini

Immagini di Thadsanapong Sinsumruai

14 settembre

Vientiane, Laos

Arriviamo alla frontiera, attraversato il Ponte dell’Amicizia, alle sette del mattino, dopo un viaggio in pullman lunghissimo e piuttosto delirante: quattordici ore da Bangkok, nella notte, lasciandoci alle spalle la città con i 7/11 che, lungo la strada, si fanno via via più radi sino a scomparire dentro la campagna e le montagne, nel buio, in cui tu – che non vuoi dormire – resti incantato davanti alle migliaia di costellazioni sconsciute che sembrano bruciare vicinissime sopra i canneti, quando anche l’ultimo lampione è alle spalle. E poi, discesi i tornanti, d’improvviso appare dal nulla una zona industriale, illuminata come una stazione dello spazio, o un grande mercato della frutta, coloratissimo e aperto alle due del mattino.

Arrivati al confine, scendiamo per compilare i documenti che ci richiederanno per l’ingresso in Laos. Sono quasi le sei e ci ritroviamo in un ristorante con una grande terrazza che si sporge sul fiume. Fa quasi freddo ed il Mekong appare bellissimo in ques’alba incerta che sta appena iniziando: l’acqua blu scuro scorre lenta nel silenzio del risveglio, un paio di barche di pescatori mandano un fascio di luce gialla da una lanterna accesa al loro interno. Ci vengono offerti tè e caffè e finalmente attraversiamo questo ponte dal nome ben augurale, che ha segnato l’inizio di una nuova fase nella storia recente del Laos: la sua apertura al mondo.

Nella capitale, si viaggia a bordo di un’Ape-car che qui, come in Thailandia, chiamano tuk tuk. Siamo seduti nel cassone e sobbalziamo tra gli scarichi della marmitta. Sembra di trovarsi in una paesino dell’Italia rurale di sessant’anni fa: le risaie sono di un verde brillante, sotto il cielo limpido e ventoso; le strade, con enormi buche, a tratti non conoscono l’asfalto e scompaiono tra grandi nuvole di terra giallorossa. L’impressione di povertà e tristezza è prepotente, perché ovunque gli occhi trovano queste case-baracche – fatta eccezione per le villette in stile coloniale o i palazzi e gli uffici pubblici, che invece fanno mostra di intonaci candidissimi e giardini molto curati, con prato all’inglese e palme e bellissime fioriture selvagge in grappoli viola e rossi, gialli e bianchi… Ma per il resto, casupole e capanne. E pensare che proprio di recente si sono aperte nella capitale le contrattazioni della Borsa per la prima volta nella storia della Repubblica Popolare Democratica del Laos: l’economia del paese vola – recitano le gazzette sciagurate – e l’anno scorso si è chiuso con una crescita del Pil di sette punti percentuale…

FIUME MEKONG CREPUSCOLO

Ancora a bordo del nostro tuk tuk, però si resta stupiti nell’incrociare la grande insegna di un English Institute o del Centro studi per i mass mass media, che è una piccola struttura scalcagnata e malinconica tra le lamiere.

Per pranzo non si trova un ristorantino in zona neanche disposti a sperimentare tutto, così ci spostiamo in centro, con i brividi. Attorno alla fontana (in stile europeo), tutto un set posticcio che ostenta un ristorante francese, uno italiano, un Kodak Café ed altre mostruosità “acchiappa turisti”. I turisti poi, che non sono molti, sono di base orrendi. Sarebbe possibile raggrupparli in generi: i giovani con lo zainone sulle spalle (quindi il Turista Alternativo con bermuda, barbe, tattoo, dreadlocks o codini); il quasi avanzo di galera, cioè il tipo umano che si è rifugiato qui perchè dalla vita non si aspetta più nulla, avendo già perso tutto, e trovando magari un po’ di conforto nella marjuana legalizzata (qui: sdentature, moncherini, tatoo carcerari, pance preoccupanti, e ancora barbe selvagge, malattie cutanee) e infine il Turista della Terza Età (il solito tipo in cerca di figa discount) o il pensionato più decoroso, già accompagnato dalla consorte locale con circa un terzo dei suoi anni…

Arriviamo infine al nostro resort: vecchissimo ma immerso nelle palme e nelle fioriture incandescenti, per dieci euro a notte. Timidi e cerimoniosi, ci accolgono i due ragazzi carini e sorridenti che lo gestiscono. Saranno gay? Un sito web segnalava il posto come un ritrovo gay friendly. Loro ci tengono a far sapere che nel pub qui a fianco stasera si balla – ed è l’unico ritrovo per i giovani della città, a quanto capiamo. “Gay life in Laos?” ti chiedo, perplesso. “Figuriamoci” dici tu, trascinando di sopra la borsa da viaggio.

Di sera, per strada non c’è nessuno. I lampioni sono spenti e, per non cadere in qualche buca colossale, ci si giova della luce fioca che arriva da qualche negozietto o dalle case. Ancora molto girovagare in cerca di un posto per la cena, decisi come siamo a non cedere al ricatto “acchiappa turisti” del centro. Anche se da turisti – dici tu – contribuiremmo per un po’ all’economia del paese – noi che poi siamo qui per un visto. Ma io, ad ogni modo, non riesco a non sentirmi sempre fuori luogo, nei panni del Turista Occidentale con due soldi in tasca e in cerca di ristorantini, mentre la gente del luogo sopravvive con un euro al giorno…

Finiamo in un koreano, forse gestito da veri koreani, che comunque non parlano né inglese né thailandese e che ci servono alla sveltissima un barbeque piuttosto andante con pancetta e salsa di fagioli dolci. Poi, ci fermiamo per una birra (Laos Beer, produzione locale, forte e buona) in un posto all’aperto. È struggente. Sotto queste capanne di bamboo inghirlandate di lampadine, lì ai tavoli di legno ci saranno appena sei persone, che devono aver cenato e adesso, un po’ brille, intonano strazianti canzoni thai al karaoke. Del resto, qui si segue la tv thai, si usa la moneta thai, si ascolta la musica thai, si guardano i film thai. La vicina Thailandia deve proprio apparir loro come la terra del sogno, del mito e del benessere…

Il dancing club intanto ci aspetta sotto l’albergo: un locale piccolo e buio, con luci strobo sparate, console in un angolino e ovviamente anche qua karaoke di melense canzoni thailandesi che lasciano poi il posto alla musica altissima (Lady Gaga, a tutte le latitudini del globo)…

Si pagano 60 bhat per entrare (circa un euro e mezzo), con consumazione (la solita bottiglia di Laos Beer). I giovani avventori se ne stanno in piedi attorno ai loro tavolini rotondi, su cui s’ammucchiano bicchieri e birra e secchielli del ghiaccio. Ragazze pochissime e i ragazzi, quasi tutti gay – piccoletti, bruttini, camicie vistose con spalline kitsch e tutti rigorosamente con scarpe chiuse, e poi queste pettinature abbastanza assurde, alte, phonate, con ciuffi che ricadono sul viso a imitare i divetti (gay) della tv (thai). Comunque, tutti estremamente decorosi anche nel divertimento, senza sbracare o un infastire mai. All’una la musica è già finita. Resta ancora per noi una notte in battaglia con plotoni di zanzare, sotto un cielo altissimo, in cui corrono veloci nuvole che non promettono pioggia.

FIUME MEKONG

15 settembre

Vientiane, Laos

E poi, sbrigate le pratiche per il mio visto, siamo di nuovo in giro per mercati, tra ceste grandi e piccole di canne intrecciate e le bellissime gonne di seta tessute a mano. Tra le bandiere rosse con falce e martello del Partito Rivoluzionario Popolare, che penzolano malinconiche e stanche sotto il sole, cantieri con lavori in corso dappertutto. I segni, pur dentro una grande povertà, di un paese in espansione sono sotto gli occhi: edifici in costruzione, palazzi in ristrutturazione, tante banche, aziende con le grandi insegne “Co., Ltd” luccicanti sopra i pollai. Se poi il fervore economico fosse accompagnato anche da un piccolo segno di slancio vitale… E pensare che un concertino di khaen tra i viali del centro basterebbe ad attirare a frotte gli orrendi e annoiati turisti appolaiati negli internet café… Aggirandoci nei dintorni, sbucano alla fine due bookstores, qualche sede universitaria e la vecchia Bibliotèque Nationale, che sembra un pezzo di modernariato proprio a fianco del Wat Si Saket, il tempio più antico della città con le sue duemila statue del Budda, mentre l’Arc de Triomphe – traccia della colonizzazione francese, come i palazzi istituzionali ed i ristorantini che promettono baguette e paté ben fatti – occhieggia poco lontano, annerito dai gas di scarico delle tante motorette che non hanno nessuna nozione di rispetto per i pedoni…

Passeggiamo ancora tra lavori in corso di muratori e muratrici, che sotto il sole caldissimo stanno costruendo, a due passi dal centro, la camminata lungo il margine del fiume, davanti al nuovo parco con prato all’inglese: al calar del sole, a centinaia i laotiani arrivano sulle loro biciclette, siedono sulle panchine, si impegnano in esercizi aerobici improvvisati…

Noi abbracciamo allora con lo sguardo, in un ultimo saluto, il Mekong tragico e maestoso dentro un tramonto infuocato di verde e oro – le lanterne dei pescatori che ci avevano accolto al nostro arrivo, brillando sull’acqua scura, saranno presto stelle, nel cielo di questa sera di settembre.