Davide Mosconi, Reportage in Mexico – di Gabriele Bonomo

 

Davide Mosconi, Reportage in Mexico, metà anni '60


 
 

 
 

Davide Mosconi, Tre immagini da un reportage sul Messico

Il reportage che Davide Mosconi realizzò nel corso di un prolungato soggiorno in Messico a metà degli anni ’60 rappresenta la cerniera tra la fine del suo apprendistato come fotografo, dopo essere stato assistente a New York di Richard Avedon e Hiro, e l’inizio di un’autonoma attività sia professionale sia autoriale. Mosconi intraprese infatti un lungo viaggio in Messico proprio a conclusione del periodo newyorchese e subito prima di rientrare definitivamente a Milano dove avrebbe fondato, di lì a poco, lo Studio X – un’apprezzata agenzia fotografica specializzata in moda e still life – e dato parallelamente avvio alla propria ricerca creativa. Segnando così un fondamentale momento di passaggio, il soggiorno messicano assunse, per Mosconi, un significato quasi simbolico, se non iniziatico: da un lato fu l’occasione per approdare alla fotografia come autore rivolgendosi a un genere, il reportage appunto, che gli offrì la possibilità di trattenere una memoria del proprio sguardo ma che non avrà più modo di ripercorrere, come scelta stilistica, nella fotografia d’arte, dall’altro gli offrì casualmente l’opportunità di conoscere e assistere per diverso tempo il compositore americano Conlon Nancarrow, esule a Città del Messico, una presenza che risultò determinante per riaccendere contestualmente in Mosconi anche la fiamma della propria vocazione musicale. Le immagini di questo reportage rimasero inedite sino al 2003, quando furono esposte alla Galleria San Fedele di Milano nella prima retrospettiva postuma dedicata alla fotografia di Davide Mosconi. Roberto Mutti le accompagnò nel catalogo con questa parole: “[…] La scelta del formato quadrato – dettato dall’uso della Rolleiflex avuta in prestito da Avedon, che di questa macchina è sempre stato appassionato – obbliga il fotografo a un rigore compositivo e lo spinge a realizzare, infatti, un reportage assolutamente lontano dagli stilemi in voga in quegli anni. Nulla qui è concesso alla banalità del pittoresco, ma neppure alla creazione di un racconto per immagini che segua un percorso descrittivo: le ombre decise dentro cui ancora si leggono molti particolari e i bianchi nitidi che non sono mai accecanti, sono il teatro stilistico con cui Davide Mosconi si misura con grande abilità. Lo sguardo è volutamente nervoso e il percorso si snoda a scatti, soffermandosi su aspetti che da laterali si spostano improvvisamente al centro del fotogramma e, di conseguenza, della nostra attenzione […]”. Si può così percepire perché il vero soggetto di queste immagini non sia ciò che vi è catturato nel segno della raffigurazione, ma, appunto, la rappresentazione del proprio sguardo portato alle cose del mondo.

@Archivio Mosconi