Davide Mosconi, Trittico dell’ombelico (o dei centri) – di Gabriele Bonomo

Nei suoi Trittici, Davide Mosconi propone la lettura “sincronica” di due fotografie preesistenti tra loro irrelate ma che si scoprono affini nella casuale coincidenza del loro sostrato figurativo, alle quali egli associa — dopo averle nuovamente fotografate — una fotografia originale che rafforza, amplifica e nel contempo distorce l’universo semantico dell’immagine/archetipo lì catturata. Questo vero e proprio codice o cifrario iconografico, che per Mosconi assumerà sempre un forte valore simbolico, scoprì un ideale modello di coniugazione nelle risorse dell’instant photography proprie della Polaroid, il medium indispensabile a cui affidò la realizzazione di molte sue opere. L’allora innovativa e rivoluzionaria tecnologia Polaroid, in grado di offrire ante litteram rispetto all’odierna cultura digitale uno strumento che consentiva a tutti di sperimentare la fotografia “istantanea”, era già stata funzionale a rappresentare per Mosconi un degré zero della scrittura fotografica: «Come una cometa psichica l’animo dell’artista poteva ora attraversare l’istante spinto dall’energia creativa, materializzando lo spirito, spiritualizzando la materia» (D.M.). A queste parole si allinea la definizione che Davide Mosconi avrebbe potuto dare della propria pratica d’arte, o dell’arte tout court, sempre esperita/inseguita nel segno costante di un’attenuazione dell’espressione e dell’intervento soggettivi: depersonalizzazione di una “prassi” quale sola possibile “rivelazione” o “epifania”.

© Archivio Davide Mosconi