Scandali al sole biblici e mitologici – di Fabio Carnaghi

Sol per veder do’ suoi panni fanno ombra

 

La citazione dantesca dalle Rime petrose ci introduce a un tema strettamente connesso all’arte e alla letteratura erotica nello svelamento della nudità, intesa dichiaratamente o meno con accessi voyeuristici o simbolicamente allusivi al rapporto d’amore.

La chiave di lettura ulteriore di questo svolgimento suadente è il pretesto, nel concetto veicolatore di immagini miasmatiche per una tradizione che da sempre associa in opponendo o in sottile tramatura eros e sacro. Nel solco di tale percorso iconografico, simbolico e percettivo l’arte ha da sempre vissuto eros nella tensione dello scandalo rivelatore, sia esso profanatore di intimità private o di sacrosante estasi mistiche. Nemmeno il tentativo di epurazione iconoclasta della Controriforma è riuscito a bandire l’umore erotico dal linguaggio figurativo, che fin dalle sue origini ha trovato radicamento nella sacralità.

Nello specifico iconografico, il tema prettamente erotico è rappresentato dal bagno, momento di rivelazione della nudità.

La manifestazione del nudo, intesa come scabrosa pubblicazione dell’intimo, sancisce un compromesso che deriva dalla sua interpretazione in chiave speculativa. Nudità e verità sono concetti accomunati dallo svelamento, termine che identifica un dualismo conflittuale: il senso reale dello spogliarsi delle vesti è oltraggio al pudore, il senso figurato è nobile intento di togliere il velo della superficialità, per scoprire il contenuto fondante. In entrambi i casi si sviluppa una ricerca, sia essa curiositas filosofica o erotica. La percezione dell’erotico e di tutte le sue diramazioni si riassume secondo un’atavica concezione nell’azione del vedere, gesto che mantiene il significato scadente di superficiale e momentaneo appagamento, lontano dall’approfondimento intellettivo. Il mito rimanda a vicende che mettono in luce uno schema comune basato sul sillogismo vista-vergogna-colpa. È proprio nei termini di un meccanismo prima arcaico e poi tragico che emerge nella percezione di eros la convivenza tra vergogna e colpa, mentre in altre circostanze epocali i due aspetti risultano ben distinti. La vergogna dell’osservato innesca immediatamente la colpa nel voyeur. La letteratura alessandrina ci consegna, nel quinto Inno di Callimaco intitolato Ai lavacri di Pallade, un’interessante versione mitologica in cui Atena, mentre si bagna con le sue ancelle ninfe nelle acque della fonte Ippocrène, viene sorpresa nuda da Tiresia, avvicinatosi all’acqua per bere. La punizione della dea per aver visto “cose non concesse” si traduce nella cecità di Tiresia, ma anche nel dono della profezia. Il nudo sacro in quanto erotizzante e sensuale diviene causa della colpa di Tiresia nei confronti di Atena, vittima dello scandalo. Analogamente al materiale mitologico, il passo biblico che narra la vicenda di Betsabea e Davide (2Sam 11) riconduce a uno scenario di colpa derivata dallo scandalo, questa volta per effetto di eros. Dalla terrazza del suo palazzo Davide vede Betsabea, moglie del soldato Uria l’Ittita, mentre fa il bagno nuda. Davide, ammaliato dalla bellezza della donna, la fa portare nel suo palazzo e ottiene che il marito Uria rimanga ucciso in battaglia. Nell’episodio di Davide la colpa diviene peccato agli occhi di Dio, il quale, per punizione, toglie la vita al primo figlio avuto da Betsabea ma perdona Davide pentito, rendendolo esempio illuminato di saggezza regale.

 

Un altro schema di bagno divino è quello fornito dalla favola di Diana e Atteone, narrata nelle Metamorfosi di Ovidio (Ovid., Metam., III, 173-182), che inaugura l’inesorabilità della colpa punita. Il voyeurismo è considerato, in questa variante, come scandalo sacrilego. Diana si spoglia nei pressi di una fonte nella selva Gargafia insieme alle sue compagne dopo una battuta di caccia. Il cacciatore Atteone vede Diana con il suo corteggio bagnarsi nuda, provocando l’ira della dea che lo trasforma in cervo. La muta dei cani da caccia di Atteone rincorre il padrone ormai divenuto preda e lo sbrana.

Le scritture bibliche contengono un epilogo dalla punizione irreparabile della colpa del voyeur nel racconto di Susanna e i vecchioni (Dan 13, 1-64). Susanna è la moglie del ricco Joachim all’epoca dell’esilio babilonese. A causa dell’afa, la casta Susanna si concede un bagno ristoratore presso una fonte del giardino. Dopo aver fatto preparare oli e unguenti e aver fatto sbarrare le porte d’accesso alla casa, la donna congeda le ancelle. Approfittando dell’assenza di Joachim, due vecchi appena nominati giudici, attratti dalla bellezza di Susanna, cercano di abusare di lei, minacciandola di accusarla di adulterio nel caso non acconsentisse. La donna si ribella e si sottopone a giudizio che la condanna alla lapidazione per adulterio. L’intervento del giovane Daniele dimostra la malafede dei vecchi, che verranno essi stessi lapidati per la colpa commessa.

La suggestione erotica nella percezione visiva e dunque sensuale è determinante nel decretare il successo non solo narrativo, ma anche iconografico di questi soggetti. In particolare, il tema mitologico di Diana e Atteone ha una lunga persistenza nell’ambito della produzione artistica destinata al collezionismo privato o alla quadreria da camera, oltre che alle committenze di apparati decorativi per casini da caccia e dimore suburbane. Dagli esempi degli affreschi del Parmigianino per il conte Galeazzo Sanvitale, passando per la pittura di Tiziano che realizzò il soggetto per Filippo II di Spagna fino ad arrivare a Rembrandt e Rubens, in tutte le epoche proliferano svariate occorrenze del passo ovidiano. Il colore erotico irrompe prepotentemente nei dettagli pruriginosi di deliziosi teatri di verdura, veri e propri allestimenti frondosi che stimolano l’immaginario erotico. Il bagno nella calura e, non da ultimo, il tiaso di ninfe accanto a Diana che si apprestano alla nudità collettiva disegnano una situazione di genere a metà tra il ludico e la complicità sensuale.

Non diversamente dalla materia mitologica, le storie di Betsabea e Susanna conoscono un’enorme fase divulgativa, divenendo rappresentazioni à la page in cui la pittura si cimenta soprattutto su impulso delle committenze. Il riferimento biblico costituisce una piena giustificazione all’introduzione di soggetti che edulcorano il pretesto edificante e cólto con la contaminazione di elementi profani e seducenti nella loro allusione all’eros. Betsabea permette di rivisitare il motivo classico della toilette di Venere, in cui la carica erotica nasce dalla gestualità suadente spiata da lontano, unita alla femminilità di un mondo aggraziato e sontuoso nella fisicità e nel contesto. Il realismo è senza dubbio la cifra con cui si sviluppa la storia di questa rappresentazione a partire dalla Betsabea di Hans Memling a quelle di Paris Bordon, di Artemisia Gentileschi, di Rembrandt e, ancora nel Settecento, di Sebastiano Ricci.

Anche il successo del passo biblico di Susanna e i vecchioni conferma una vasta audience del soggetto che, come un cavallo di Troia, sventa ogni censura iconografica. Il tema della donna spiata e irretita da due vecchi mette in relazione il motivo del bagno con il colorito leitmotiv della fontana della giovinezza, di cui resta la memorabile prova di Lucas Cranach il Vecchio, nella quale la promiscuità sessuale e generazionale definisce un’immagine molto popolare nella cultura figurativa renana. La figura di Susanna, inoltre, si rifà alla tipologia della Venere alla fontana, rimando sensuale al bagno rinfrescante. Questa vicenda associa inequivocabilmente eros e peccato, in un pruriginoso meccanismo che tende a identificare il fruitore dell’opera con i vecchi osservatori, determinando così un voyeurismo nel voyeurismo. Le committenze investiranno molto su tale soggetto, finendo per creare un percorso di continuità del tema che da Lorenzo Lotto, Tintoretto, Artemisia Gentileschi, Rubens, Rembrandt e Guercino arriva fino all’arte moderna. Il carattere pretestuoso di questa iconografia è testimoniato dalla penetrazione del bagno di Susanna in ambiente ecclesiastico. È il caso della chiesa di Santa Susanna alle Terme di Diocleziano a Roma. La dedicazione dell’edificio barocco è rivolta a Susanna, martirizzata con la decapitazione da Diocleziano, di cui era nipote, per aver rifiutato di rompere il suo voto di castità per andare in sposa al figlio adottivo dell’imperatore. In analogia con la vicenda della martire, il programma decorativo degli interni della chiesa prevede la narrazione della storia della Susanna biblica. L’affrescatore Baldassare Croce nelle campiture di finti arazzi realizza immagini che ripercorrono le tappe dell’episodio del libro di Daniele, tra cui la scena del bagno in un aristocratico giardino all’italiana.

 

In molte circostanze storiche, tematiche scabrose che alludono al voyeurismo erotico aggirano ogni morale e ogni censura in nome di un forte radicamento nella tradizione che ha connaturato eros e le sue manifestazioni nel divino. Per questo scandali al sole in acque refrigeranti di calde giornate estive destano erotici slanci in cui l’importante è possedere con gli occhi, sfidando qualunque castigo divino.